Ci sono vittime del terrorismo religioso per cui non si spreca inchiostro né titoli d'apertura sui media occidentali. Eppure si tratta di esseri umani, peraltro tra i più indifesi. Sono ragazzine, sono bambine, sono bambini, sono donne. Sono le prede di Boko Haram li utilizza, in Nigeria e altri Paesi sub sahariani per compiere attentati, come "bombe umane". L'Unicef li chiama così, “human bombs” e non attentatori suicidi, perché ad essere vittime sono in primis loro: minori rapiti, plagiati, abusati da quel gruppo che fa sanguinare la mappa centrale africana. È il nuovo codice del terrore di una vecchia strategia, scrive Al Jaazera, una nuova tattica disciplinata, possibile grazie al mancato controllo del territorio da parte dell'esercito governativo ed è già diventata una nuova impronta, una nuova firma macabra del gruppo. Le ragazze sono una nuova arma da guerra: solo nel 2017 sono state 80 le donne e le bambine usate negli attentati come kamikaze dai miliziani di Boko Haram. Lasciando dietro di sé la scia di sangue di 400 vittime da aprile in poi, il doppio rispetto ai cinque mesi precedenti. Lo riferisce Amnesty. L'organizzazione terroristica ha perso territorio, controllo delle front line e ha portato la sua guerra nelle moschee, nelle piazze, nelle università, nei mercati, nelle chiese, nei luoghi affollati. Il più mortale è stato compiuto a Waza, in una sala giochi, lo scorso luglio: 16 ragazzini sono morti per una cintura esplosiva indossata da una minore, una bambina costretta così a mettere fine al suo destino, insieme a quello di altri bambini. L'Unicef è giunta alla stessa conclusione di Amnesty: nel 2017 sono stati 84 gli attentati compiuti da minorenni per il gruppo del terrore il cui nome significa “l'istruzione occidentale è proibita”. Uno studio sul terrorismo del centro di West Point e della Yale University ha esaminato 434 attacchi suicidi compiuti da Boko Haram dal 2011 al 2017: solo in 338 è stato possibile riconoscere l'identità dell'attentatore e nel 244 dei casi si trattava di ragazze o donne. Boko Haram punta i fucili sulle ragazzine, l'occidente punta gli occhi altrove. Si dice migrazione ma è fuggire soprattutto dalla morte, tutte le morti che puoi incontrare per strada in Africa. Schiavi religiosi i bambini, doppie schiave le bambine. Per le donne, gli elementi più sacrificabili della società africana, è un nefasto record, a cui non c'è antidoto se non la fuga. Se non bombe umane, le ragazze rischiano di diventare schiave sessuali, mogli dei militanti contro il loro volere. Alcune di loro sono state liberate, ma ne hanno partorito i figli e adesso devono rimanere con loro. Alcune sono bambine che hanno messo al mondo altri bambini e hanno poco più di 14 anni. «Non eravamo mogli, ma schiave, non mangiavamo nemmeno, eravamo oggetti» dicono alle telecamere di Al Jazeera. Tutto è difficile, niente è efficace. Amnesty nell'ultimo dossier dice che 223 civili sono morti in Nigeria da aprile, ma ricorda che i dati sono approssimati per difetto e nessuno conosce davvero l'esatto numero delle vittime: «tra maggio ed agosto il numero di civili uccisi è 7 volte maggiore che nei quattro mesi precedenti, mentre, solo ad agosto, sono cento i civili che hanno perso la vita». Non solo in Nigeria, ma anche in Camerun: «Da aprile 158 civili sono morti per gli attacchi di Boko Haram, quattro volte in più che nei cinque mesi precedenti». A nord est della Nigeria sono in marcia, si lasciano dietro le case e i vicini di casa morti, cibo e documenti. Afferrano i loro figli, abbandonano le fattorie e scappano via correndo dalla violenza cieca di Boko Haram. A Monguno, nello stato del Borno sono arrivati un numero maggiore di migranti che in Europa nei primi nove mesi dell'anno: dei 17 milioni di profughi interni del continente nero, il 93,7% rimane in Africa, solo il 3,3% raggiunge l'Europa. L'UN avvisa: quest'anno in centinaia di migliaia moriranno di fame. La vera crisi migratoria è all'interno dell'Africa stessa e non in Europa: per Boko Haram 2 milioni e 600mila persone hanno abbandonato la loro terra. Sono più dei siriani rifugiati in Turchia eppure la loro non la chiamiamo guerra. «Boko Haram è tornato a compiere crimini su vasta scala, questo è esemplificato dalla depravazione di usare ragazzine costringendole ad indossare esplosivi, col solo intento di uccidere quante più persone può» ha detto Alioune Tine, direttrice per l'Africa centrale e occidentale di Amnesty International. I miliziani non perdono vigore, continuano a marciare, kalashnikov e tunica nera. Il loro potere cresce, ma in silenzio, perché non accade qui, in Europa, ma in stati i cui profughi ci rifiutiamo di accogliere. Sono morte almeno 20mila persone nelle violenze compiute da Boko Haram dal 2009 in Africa, perché il terrore non diminuisce, non in Africa. Diminuiscono solo le voci che lo denunciano.

Ci sono vittime del terrorismo religioso per cui non si spreca inchiostro né titoli d’apertura sui media occidentali. Eppure si tratta di esseri umani, peraltro tra i più indifesi. Sono ragazzine, sono bambine, sono bambini, sono donne. Sono le prede di Boko Haram li utilizza, in Nigeria e altri Paesi sub sahariani per compiere attentati, come “bombe umane”. L’Unicef li chiama così, “human bombs” e non attentatori suicidi, perché ad essere vittime sono in primis loro: minori rapiti, plagiati, abusati da quel gruppo che fa sanguinare la mappa centrale africana. È il nuovo codice del terrore di una vecchia strategia, scrive Al Jaazera, una nuova tattica disciplinata, possibile grazie al mancato controllo del territorio da parte dell’esercito governativo ed è già diventata una nuova impronta, una nuova firma macabra del gruppo.

Le ragazze sono una nuova arma da guerra: solo nel 2017 sono state 80 le donne e le bambine usate negli attentati come kamikaze dai miliziani di Boko Haram. Lasciando dietro di sé la scia di sangue di 400 vittime da aprile in poi, il doppio rispetto ai cinque mesi precedenti. Lo riferisce Amnesty. L’organizzazione terroristica ha perso territorio, controllo delle front line e ha portato la sua guerra nelle moschee, nelle piazze, nelle università, nei mercati, nelle chiese, nei luoghi affollati. Il più mortale è stato compiuto a Waza, in una sala giochi, lo scorso luglio: 16 ragazzini sono morti per una cintura esplosiva indossata da una minore, una bambina costretta così a mettere fine al suo destino, insieme a quello di altri bambini.

L’Unicef è giunta alla stessa conclusione di Amnesty: nel 2017 sono stati 84 gli attentati compiuti da minorenni per il gruppo del terrore il cui nome significa “l’istruzione occidentale è proibita”. Uno studio sul terrorismo del centro di West Point e della Yale University ha esaminato 434 attacchi suicidi compiuti da Boko Haram dal 2011 al 2017: solo in 338 è stato possibile riconoscere l’identità dell’attentatore e nel 244 dei casi si trattava di ragazze o donne.

Boko Haram punta i fucili sulle ragazzine, l’occidente punta gli occhi altrove. Si dice migrazione ma è fuggire soprattutto dalla morte, tutte le morti che puoi incontrare per strada in Africa. Schiavi religiosi i bambini, doppie schiave le bambine. Per le donne, gli elementi più sacrificabili della società africana, è un nefasto record, a cui non c’è antidoto se non la fuga. Se non bombe umane, le ragazze rischiano di diventare schiave sessuali, mogli dei militanti contro il loro volere. Alcune di loro sono state liberate, ma ne hanno partorito i figli e adesso devono rimanere con loro. Alcune sono bambine che hanno messo al mondo altri bambini e hanno poco più di 14 anni. «Non eravamo mogli, ma schiave, non mangiavamo nemmeno, eravamo oggetti» dicono alle telecamere di Al Jazeera.

Tutto è difficile, niente è efficace. Amnesty nell’ultimo dossier dice che 223 civili sono morti in Nigeria da aprile, ma ricorda che i dati sono approssimati per difetto e nessuno conosce davvero l’esatto numero delle vittime: «tra maggio ed agosto il numero di civili uccisi è 7 volte maggiore che nei quattro mesi precedenti, mentre, solo ad agosto, sono cento i civili che hanno perso la vita». Non solo in Nigeria, ma anche in Camerun: «Da aprile 158 civili sono morti per gli attacchi di Boko Haram, quattro volte in più che nei cinque mesi precedenti».

A nord est della Nigeria sono in marcia, si lasciano dietro le case e i vicini di casa morti, cibo e documenti. Afferrano i loro figli, abbandonano le fattorie e scappano via correndo dalla violenza cieca di Boko Haram. A Monguno, nello stato del Borno sono arrivati un numero maggiore di migranti che in Europa nei primi nove mesi dell’anno: dei 17 milioni di profughi interni del continente nero, il 93,7% rimane in Africa, solo il 3,3% raggiunge l’Europa. L’UN avvisa: quest’anno in centinaia di migliaia moriranno di fame.

La vera crisi migratoria è all’interno dell’Africa stessa e non in Europa: per Boko Haram 2 milioni e 600mila persone hanno abbandonato la loro terra. Sono più dei siriani rifugiati in Turchia eppure la loro non la chiamiamo guerra.

«Boko Haram è tornato a compiere crimini su vasta scala, questo è esemplificato dalla depravazione di usare ragazzine costringendole ad indossare esplosivi, col solo intento di uccidere quante più persone può» ha detto Alioune Tine, direttrice per l’Africa centrale e occidentale di Amnesty International. I miliziani non perdono vigore, continuano a marciare, kalashnikov e tunica nera. Il loro potere cresce, ma in silenzio, perché non accade qui, in Europa, ma in stati i cui profughi ci rifiutiamo di accogliere. Sono morte almeno 20mila persone nelle violenze compiute da Boko Haram dal 2009 in Africa, perché il terrore non diminuisce, non in Africa. Diminuiscono solo le voci che lo denunciano.