Non so se vi ricordate, è passato qualche anno, quando per alcune settimane in Italia deragliarono tutti i treni: fu un impareggiabile filotto cosparso su tutti i giornali (e telegiornali) per giorni interi che ci convinse (tranquilli, poi passa, sempre, passa) che salire su un treno fosse uno dei gesti più spericolati che un padre di famiglia potesse compiere. Poi, all’improvviso, all’unisono, più nulla: notizia sparita, problema risolto.
Poi (ve lo ricordate?) ci furono i sassi dal cavalcavia: migliaia di teste di persone alla guida che si sollevavano ogni volta che la propria auto passava sotto un ponte: una sensazione generale di spada di Damocle a forma di sasso attanagliava i viaggiatori e sui quotidiani (e nei telegiornali) si coglieva la paura di essere sterminati da un attacco che arrivasse dal cielo. Come in Indipendence Day. Ma poi basta. Tutto a posto.
Nelle scorse settimane (siamo nei giorni dello sgombero di piazza Indipendenza a Roma, per capirsi) si è schiacciato l’acceleratore sulle violenze degli “immigrati” (scritti così, senza distinzioni, mettendoci dentro l’irregolare insieme al minore non accompagnato o al perseguitato politico o al profugo di guerra come se fosse tutto materiale di risulta) e risultò utilissimo il racconto di Pamela, una donna romana trentacinquenne che raccontò di essere stata “rapita” insieme alla nipote da un gruppo di immigrati. Tempismo perfetto: “ora provate a dire che non andavano sgomberati!”, hanno urlato i giornalacci. Facendo di tutto lo stesso impasto. E notizia sparata in prima pagina.
Ora è la settimana degli stupri: un’Italia sotto la morsa della violenza di questi negri sporchi brutti e cattivi condita da numeri inventati, cronache vaginali, pornografia del dolore e presunti studi scientifici sulla predisposizione allo stupro di questa o quella razza, addirittura. Poi è successo il fattaccio dei carabinieri e allora subito di corsa a cambiare atteggiamento fissandosi sulle americane che bevono troppo e sulle donne ammaliatrici: il ritorno di Eva, bentornato Medio Evo. Fino a stamattina quando fortunatamente è successo ancora con uno straniero accusato di stupro su una turista a Roma e quindi la “linea della narrazione” è tornata sui binari più comodi.
Poi fa niente che gli incidenti su ferrovia siano in linea (e lo erano anche nei tempi dell’allarme) con il trend degli ultimi decenni; non importa che i sassi dal cavalcavia (per fortuna) continuino ad essere i rari gesti sconsiderati di qualche cretino; non importa che la donna romana che diceva di essere stata “rapita” sia stata smentita dai fatti e nel frattempo sia stata beccata mentre rubava in un supermercato e arrestata per furto; e non conta nemmeno che la Questura di Firenze abbia bollato come “fake news” le presunte statistiche sugli stupri “inventati” dalle straniere per screditare i fiorentini e, vedrete, non conterà nemmeno illustrare come le violenze sulle donne sia un fenomeno fomentato soprattutto da italiani su donne italiane e per di più in famiglia.
L’importante è la prima impressione. Giornalisti, politici e presunti intellettuali di latta si scatenano sull’onda emozionale dimenticandosi di avere il dovere di sapere e raccontare come va a finire. Tutti presi da un’analisi che si basa sul “sentimento popolare” come se fosse l’unico fatto da cui attingere. E così, ovvio, ci intirizziamo sempre di più ad essere un Paese con la credibilità che dura poco più di un tweet, convinto che la cultura e la credibilità si misuri solo nel tempismo e che la complessità del reale sia una perdita di tempo che non interessi a nessuno. Non è solo un analfabetismo di ritorno, no: è un Paese intero che vive la contemporaneità con la foga dello scommettitore alle corse dei cavalli e che smisuratamente esulta se vince o si dispera se sbaglia la puntata. Tutto qui.
Buon martedì.