Quando una reazione, anche se corale, non vi convince allora insistete. Sempre. Perché la coralità spesso potrebbe nascondere comunque una deformazione che forse vale la pena sottolineare, almeno per provare a parlarne. Vi rubo qualche minuto: nella settimana che l'informazione e la politica sta dedicando tutta agli stupri (alcuni più alla colorazione degli stupratori, altri più concentrati su una presunta faciloneria alcolica delle stuprate) le donne (le vittime, poi, a ben vedere) sono scomparse. Non c'è tifo per loro, né da una parte né dall'altra: gli opposti schieramenti si scornano sugli stupratori. Funziona sempre così: gli avvoltoi si cibano con brandelli di pornografia, dandosi di gomito sul cameratismo e fregandosene delle stuprate. Ma c'è un altro aspetto ancora più inquietante: consapevoli di avere esagerato con le strumentalizzazioni gran parte degli editorialisti ha dedicato la giornata di ieri al finto pietismo e a una diffusa preoccupazione simulata che forse ha fatto ancora di peggio. Sono comparsi, qua e là, addirittura articoli che vorrebbero essere veri e propri «manuali delle buone maniere per non farsi stuprare» come nel caso de Il Messaggero che propone campagne di informazione «per mettere in guardia turiste e studentesse che arrivano per la prima volta a Roma» e altre amenità come il non mettersi «in situazioni pericolose» e la necessità di conoscere «i rischi e le debolezze del destino femminile» come se ancora essere una donna sia una malattia. In generale, tra certa stampa e certa televisione, gira quest'aria per cui sta alle donne imparare in fretta come stare all'erta ("educhiamo le ragazze alla diffidenza" è il titolo dell'articolo di Valentina Saini per Gli Stati Generali) e imparare come stare alla larga da un delitto da cui conviene stare lontani, mica sradicarlo. Sarebbe come leggere domani un editoriale in cui si consiglia a tutti di non acquistare auto (peggio ancora: belle auto) per poi lamentarsi nel caso di furto; più o meno come mandare in onda un servizio al telegiornale in cui si consiglia di non essere troppo intelligenti per non attirare antipatie; oppure immaginate un processo per omicidio in cui alla vittima viene messa a carico la colpa di essersi fatta ammazzare senza nemmeno un'arma in tasca o almeno un giubbotto antiproiettile. La colpa, insomma, non è mica del lupo: la colpa è di Cappuccetto Rosso che si ostina ad attraversare il bosco. Buon venerdì.

Quando una reazione, anche se corale, non vi convince allora insistete. Sempre. Perché la coralità spesso potrebbe nascondere comunque una deformazione che forse vale la pena sottolineare, almeno per provare a parlarne. Vi rubo qualche minuto: nella settimana che l’informazione e la politica sta dedicando tutta agli stupri (alcuni più alla colorazione degli stupratori, altri più concentrati su una presunta faciloneria alcolica delle stuprate) le donne (le vittime, poi, a ben vedere) sono scomparse. Non c’è tifo per loro, né da una parte né dall’altra: gli opposti schieramenti si scornano sugli stupratori. Funziona sempre così: gli avvoltoi si cibano con brandelli di pornografia, dandosi di gomito sul cameratismo e fregandosene delle stuprate.

Ma c’è un altro aspetto ancora più inquietante: consapevoli di avere esagerato con le strumentalizzazioni gran parte degli editorialisti ha dedicato la giornata di ieri al finto pietismo e a una diffusa preoccupazione simulata che forse ha fatto ancora di peggio. Sono comparsi, qua e là, addirittura articoli che vorrebbero essere veri e propri «manuali delle buone maniere per non farsi stuprare» come nel caso de Il Messaggero che propone campagne di informazione «per mettere in guardia turiste e studentesse che arrivano per la prima volta a Roma» e altre amenità come il non mettersi «in situazioni pericolose» e la necessità di conoscere «i rischi e le debolezze del destino femminile» come se ancora essere una donna sia una malattia.

In generale, tra certa stampa e certa televisione, gira quest’aria per cui sta alle donne imparare in fretta come stare all’erta (“educhiamo le ragazze alla diffidenza” è il titolo dell’articolo di Valentina Saini per Gli Stati Generali) e imparare come stare alla larga da un delitto da cui conviene stare lontani, mica sradicarlo. Sarebbe come leggere domani un editoriale in cui si consiglia a tutti di non acquistare auto (peggio ancora: belle auto) per poi lamentarsi nel caso di furto; più o meno come mandare in onda un servizio al telegiornale in cui si consiglia di non essere troppo intelligenti per non attirare antipatie; oppure immaginate un processo per omicidio in cui alla vittima viene messa a carico la colpa di essersi fatta ammazzare senza nemmeno un’arma in tasca o almeno un giubbotto antiproiettile.

La colpa, insomma, non è mica del lupo: la colpa è di Cappuccetto Rosso che si ostina ad attraversare il bosco.

Buon venerdì.