E' un problema che riguarda molti gruppi etnici autoctoni e non, in varie parti del Paese, “il comune denominatore - sostiene la presidente di Trama di Terre - è il controllo delle donne”.

All’indomani della chiusura delle indagini sul caso di Rashida, la quindicenne di Torino, alla quale era stato combinato un matrimonio con un uomo più grande di dieci anni (e non era il primo pretendente. I genitori l’avevano in precedenza “promessa” a un cugino, “ma” poi hanno scoperto che era già fidanzato), spunta il caso della tredicenne di etnia rom di Firenze, futura sposa (bambina) di un uomo, connazionale del padre, in cambio di quindicimila euro, di cui quattromila versati dopo dieci mesi dalla stipula dell’accordo che prevedeva la segregazione in casa della minorenne – rispettato per quattro anni – perché imparasse i lavori domestici, dimagrisse e si mantenesse vergine, pena la restituzione del denaro.
Difficile sciorinare numeri e statistiche per quantificare il fenomeno in Italia: «Dati non ce ne sono», racconta a Left, la presidente di Trama di Terre, Tiziana Dal Pra. «Quello più realista – aggiunge – è che l’80 per cento delle ragazze accolte nelle varie comunità di assistenza rischia di contrarre matrimoni precoci o forzati. Ce lo raccontano loro stesse». Non è dunque un problema che riguarda solo gruppi etnici a tradizione islamica, ma trasversale.

Piuttosto, «il comune denominatore – sostiene la presidente di Trama di Terre – è il controllo esercitato sulle donne». Perché, per molti gruppi etnici «non è previsto l’amore che supera la sfera intima. O meglio, è tutto privato e non c’è niente di pubblico: nulla che la donna possa manifestare apertamente di sé, a partire dalla scelta della sessualità». Tradotto, la libertà di esistere, Di essere.
«A dispetto di quello che cambia nel Paese d’origine dove, magari, sono già stati cancellati dal codice penale il matrimonio riparatore o il codice d’onore, nella migrazione in Italia, ma non solo, portandosi dietro un mix tra tradizione, cultura e patriarcato, si sviluppa una grande resistenza», aggiunge Dal Pra. Che continua: «Si approfitta del passaggio per fermare, sospendere il processo di affrancamento, applicando un controllo più ingombrante e agìto perché le ragazze immigrate di seconda generazione potrebbero rappresentare un esempio concreto di libertà».
Coraggiose e incoraggiate, anche, da una scolarità che permette loro, oltre che di studiare materie vietate nei paesi di provenienza, per esempio la filosofia o la sociologia, soprattutto di respirare una possibilità reale. Prendono consapevolezza dei loro diritti e della libertà: stanno rivendicando, anche dolorosamente, l’opportunità di opporsi. Trovando (comprensibilmente) degli escamotage per ovviare a grandi difficoltà che, certamente, la società ospitante non argina: la negazione della cittadinanza, in primis, e il razzismo serpeggiante, quando non conclamato, danno loro «prova evidente di non contemplare i loro diritti, preludio della agognata libertà», conclude Tiziana Dal Pra, lasciandosi andare a un racconto di vita che commuove.
Non solo. L’assenza del sostegno delle istituzioni è, per l’Associazione 21luglio, che da anni supporta le persone in condizioni di grave segregazione, un buco nero in cui «il matrimonio forzato o combinato è vissuto come un modo per assicurarsi una relazione di supporto, spesso una vera e propria forma di mantenimento da parte della famiglia del marito». Ed è per questo che «il matrimonio precoce dipende, più che dalle specifiche culturali dei singoli gruppi – prova ne sia la sua trasversalità – dalle condizioni socio-economiche in cui versano le famiglie», sostiene 21luglio. Che specifica: «Si prenda a esempio l’andamento circolare del rapporto tra istruzione e matrimonio precoce: da una parte, la precocità dell’atto interrompe il percorso scolastico, dall’altra, anche un basso livello di istruzione degli sposi o dei loro genitori, facilita le dinamiche del matrimonio forzato e, più in generale uno scarso investimento delle famiglie sull’istruzione delle figlie, oltre che la mancanza di alternative e opportunità al di fuori della ‘sicurezza’ matrimoniale». Percepita in questo modo, chiude l’associazione 21luglio, «la necessità di protezione e di miglioramento economico possono, invece, facilmente degenerare in forme di schiavitù domestica, violenza sessuale ed economica». Per non dire della costante violenza psichica a cui queste adolescenti sono sottoposte.