«Siamo in guerra. Siamo stati attaccati». Da una spia del Kgb e quella spia è Vladimir Putin. Hollywood contro Cremlino: la battaglia la dichiara Morgan Freeman. È stato il famoso attore americano a dare fuoco alle polveri per la nascita del Cir, Comitee to investigate Russia, il comitato che investigherà il Russiagate, ovvero l’influenza russa nelle elezioni americane del 2016.
«Immaginate questa sceneggiatura: un’ex spia del Kgb, arrabbiata per il collasso della sua patria, sfrutta il caos per salire ai vertici più alti del potere e diventa presidente. Fonda un regime autoritario, poi si concentra sul suo nemico giurato, gli Stati Uniti. E proprio come l’ex spia che è, usa segretamente la guerra cybernetica per attaccare le società democratiche. E vince. Quella spia è Vladimir Putin. Abbiamo bisogno che il nostro presidente ci dica la verità. Il mondo libero conta su di noi. Lo dobbiamo a tutti quelli che hanno combattuto per questa grande nazione».
La Russia è in guerra con noi, dice Freeman. Il fuoco di risposta del Cremlino non si fa attendere: per Peskov, portavoce presidenziale, l’attore è «in sovraccarico emotivo». Per il canale tv Rossia 24 Freeman «fa uso di marjuana». Per la tv 5 di Pietroburgo l’attore«“per diffondere cliches antirussi ha perso milioni di fan». Il canale RT parla di isteria armata.
Due indagini – una del Congresso, una della Nsa, sicurezza nazionale americana – vanno avanti per determinare se «l’intervento russo durante le elezioni americane del 2016» ha determinato la vittoria di Donald Trump. Per il momento evidenze lampanti mancano, prove schiaccianti sono assenti e non hanno permesso agli inquirenti di procedere. Procede invece l’inchiesta della stampa americana contro il presidente Trump, che sta seguendo le impronte digitali russe sul web. Sono le tracce lasciate nella rete da circa 470 account finti, di “fake americans”, americani finti, con indirizzi ip tutti in cirillico. Questi account hanno speso 100mila dollari su Facebook per pubblicizzare post, articoli, materiale compromettente su Hillary Clinton nel 2016. Nonostante l’azienda di Cupertino si sia rifiutata finora di rendere pubbliche queste informazioni, proprio ieri dalla legge americana è stata costretta a cederle.