Sono decine di migliaia, sono neri e sono vestiti di rosso. Sono lavoratori del più grande sindacato sudafricano, il Cosatu, e molti fanno parte del Sacp, Partito comunista del Sud Africa. Perché “il socialismo è il futuro. Costruiscilo adesso”.  La corruzione è “uno scandalo, una piaga” e “la disoccupazione è una violazione dei diritti umani”. Il dolore nero è un privilegio bianco, c'era scritto sui cartelli della protesta degli studenti nel 2016, quando il campus dell'università di Johannesburg finì in fiamme perché i giovani chiedevano educazione gratuita e furono attaccati dalla polizia. “La corruzione è un crimine contro l'umanità”. Zuma must go. “Zuma deve andare via”. Zuma must fall. "Jacob Zuma deve rassegnare le dimissioni". Sono migliaia le persone che hanno marciato mercoledì contro la corruzione del presidente e queste erano le frasi più ricorrenti scritte sui cartelli che agitavano in aria. Il paese non aspetterà le prossime elezioni nel 2019 e vuole che una commissione giudiziaria investighi sul sistema corruttivo endemico del governo. Gli scioperi sono in corso da mesi in un paese diviso da sempre per etnie, ma soprattutto per classe sociale, e sono un chiaro messaggio ai membri della cleptocrazia sudafricana e al settore privato, che fiorisce a scapito dei più poveri e dei più deboli nel paese. Zuma adesso ha favorito i Gupta, una famiglia di imprenditori in arrivo dall'India, per fare affari milionari, i loro appalti ammontano a centinaia di milioni di dollari. Non è la prima volta che il presidente finisce sulle labbra degli arrabbiati per le strade da quando è salito al potere nel 2009. Per Bheki Ntshalintshali, il segretario generale del Cosatu, Congresso dell'Unione dei sindacati sudafricani, arriverà la “madre di tutte le marce”. È stato proprio il Cosatu a sostenere Zuma agli albori, ma ora caldeggia la presidenza di Cyril Ramaphosa, il vice presidente, contro Nkosazana Diamini Zuma, l'ex moglie del presidente. Solo un mese fa, ad agosto, il presidente era riuscito a rimanere saldo sulla sua poltrona a 76 anni, nonostante la mozione di sfiducia al Parlamento, dove, con voto segreto, gli è stata riconfermata la fiducia con 198 voti contro 177. Ora che le strade sono di nuovo piene di lavoratori in rosso a Johannesburg, a Cape Town, Durban e altre dieci città sudafricane, tutti, dentro e fuori al palazzo del potere, vogliono che Zuma si dimetta, compresi i membri dell'Anc, Congresso Nazionale Africano, il partito di cui Zuma è leader e che una volta era di Nelson Mandela.    

Sono decine di migliaia, sono neri e sono vestiti di rosso. Sono lavoratori del più grande sindacato sudafricano, il Cosatu, e molti fanno parte del Sacp, Partito comunista del Sud Africa. Perché “il socialismo è il futuro. Costruiscilo adesso”.  La corruzione è “uno scandalo, una piaga” e “la disoccupazione è una violazione dei diritti umani”.

Il dolore nero è un privilegio bianco, c’era scritto sui cartelli della protesta degli studenti nel 2016, quando il campus dell’università di Johannesburg finì in fiamme perché i giovani chiedevano educazione gratuita e furono attaccati dalla polizia. “La corruzione è un crimine contro l’umanità”. Zuma must go. “Zuma deve andare via”. Zuma must fall. “Jacob Zuma deve rassegnare le dimissioni“.

Sono migliaia le persone che hanno marciato mercoledì contro la corruzione del presidente e queste erano le frasi più ricorrenti scritte sui cartelli che agitavano in aria. Il paese non aspetterà le prossime elezioni nel 2019 e vuole che una commissione giudiziaria investighi sul sistema corruttivo endemico del governo. Gli scioperi sono in corso da mesi in un paese diviso da sempre per etnie, ma soprattutto per classe sociale, e sono un chiaro messaggio ai membri della cleptocrazia sudafricana e al settore privato, che fiorisce a scapito dei più poveri e dei più deboli nel paese.

Zuma adesso ha favorito i Gupta, una famiglia di imprenditori in arrivo dall’India, per fare affari milionari, i loro appalti ammontano a centinaia di milioni di dollari. Non è la prima volta che il presidente finisce sulle labbra degli arrabbiati per le strade da quando è salito al potere nel 2009. Per Bheki Ntshalintshali, il segretario generale del Cosatu, Congresso dell’Unione dei sindacati sudafricani, arriverà la “madre di tutte le marce”. È stato proprio il Cosatu a sostenere Zuma agli albori, ma ora caldeggia la presidenza di Cyril Ramaphosa, il vice presidente, contro Nkosazana Diamini Zuma, l’ex moglie del presidente.

Solo un mese fa, ad agosto, il presidente era riuscito a rimanere saldo sulla sua poltrona a 76 anni, nonostante la mozione di sfiducia al Parlamento, dove, con voto segreto, gli è stata riconfermata la fiducia con 198 voti contro 177. Ora che le strade sono di nuovo piene di lavoratori in rosso a Johannesburg, a Cape Town, Durban e altre dieci città sudafricane, tutti, dentro e fuori al palazzo del potere, vogliono che Zuma si dimetta, compresi i membri dell’Anc, Congresso Nazionale Africano, il partito di cui Zuma è leader e che una volta era di Nelson Mandela.