Maurizio Landini, una politica di sinistra sul lavoro da dove deve ripartire?
Dall’assumere il diritto al lavoro come un tema di rappresentanza generale. Si tratta quindi di ricostruire un’unità sociale del mondo del lavoro e al tempo stesso riaffermare una protezione universale del mondo del lavoro. Questo significa tante cose: combattere la precarietà, affermare un’idea di maggiore democrazia economica, ampliare gli spazi di autogoverno del lavoro e permettere la realizzazione delle persone nel lavoro. Lo dico spesso: bisogna rimettere al centro della politica il lavoro. Ovvero, si tratta di avere un’idea e un progetto di cambiamento della situazione che stiamo vivendo. Accanto ai diritti del lavoro si deve aprire una discussione più generale su cosa si fa, come lo si fa, con quale sostenibilità ambientale. Insomma, bisogna tornare, dal punto di vista politico, a occuparsi della condizione reale di vita delle persone che lavorano. Ma questo è anche un problema culturale.
In che senso è un problema culturale?
Faccio un esempio, per essere chiari. Siamo passati dal fatto che la politica – tutta, di centro, di destra, di sinistra – nel 1970 vota lo Statuto dei lavoratori. Tutto l’arco della politica allora considerava che i diritti, la dignità nel lavoro e l’applicazione della Costituzione nei luoghi di lavoro erano punti fondamentali di unità sociale. Per questo motivo i licenziamenti dovevano avere una giusta causa. Oggi invece il Jobs act è una legge in cui non si tutela più una persona da un licenziamento ingiusto, si tutela l’imprenditore che può ingiustamente licenziare. Siamo di fronte a una logica e a una cultura che tornano a rimercificare il lavoro. È una logica commerciale, in cui tutto si può comprare e vendere. Quando ti spiegano che la cosa più di sinistra che il governo ha fatto è il Jobs act, è chiaro che sei di fronte a un elemento di rottura con la storia ma anche al cambiamento del significato delle parole. Rimettere al centro il lavoro e la persona significa che è il lavoro che ti dà la dignità e anche che una persona lavorando non deve essere povera.
Tra assenza di politica industriale e cambiamenti tecnologici come si può ripensare il lavoro?
Di fronte alla produzione tecnologica in cui sta cambiando tutto, è evidente che si deve poter ragionare su quali prodotti e quali processi produttivi siano sostenibili con l’ambiente. E quindi definire quale politica pubblica, quali vincoli economici e sociali occorre mettere al mercato, perché non può accadere che questi vengano cancellati…