Stephen Paddock, subito dopo il massacro, sotto un altro nome viene dipinto come un oppositore di Donald Trump, un sostenitore di Hillary Clinton, un antifascista. Google chiede scusa e Facebook rimuove i post ma per ore hanno dominato i troll e l'informazione spazzatura

Aveva 42 armi automatiche, migliaia di munizioni e 64 anni, una casa in Nevada e la fedina penale pulita. Una vita che il fratello adesso definisce rispettabile. L’uomo che ha ucciso quasi 60 persone dal 32esimo piano della sua stanza d’albergo al Mandalay Bay casinò, si chiamava Stephen Paddock, ma la sua azione è finita subito nei siti dell’ultra destra americana, prima ancora che lui fosse identificato.

Mentre alla Route 91 c’era ancora terrore, emergenza sangue e taxi gratis per i volontari accorsi ad aiutare, qualcuno rimaneva dietro la tastiera e lo schermo per diffondere false notizie durante il più letale massacro americano dal 1949. Quando una storia diventa una breaking news: è esattamente quello il momento in cui invadere il web e diffondere informazioni fake, per far diventare la propaganda immediatamente virale.

Il killer, sui social network, diventa subito un “democratico”, che ha compiuto quello che ha compiuto, perché era “un oppositore di Donald Trump”. Prima ancora che il nome di Stephen Paddock fosse reso noto, alcuni troll dell’ultra destra avevano diffuso il nome di un certo Geary Danley. Dell’hoax, della bufala, non è stata identificata la fonte d’origine, e l’unica cosa che i troll scrivevano di Danley era “liberale democratico”.

«Lo sparatore di Las Vegas era un democratico che amava Rachel Maddow, MoveOn.org ed era associato all’Anti Trump Army» era il titolo del pezzo su una pagina sponsorizzata da Facebook a pagamento. Per i fatti non c’erano prove, né venivano mostrate fonti affidabili. Le informazioni però rimangono per un bel po’ sulla pagina Safety Check, che servirebbe a mettersi in contatto con i propri cari durante una crisi.

L’articolo falso viene dunque, in seguito, ribattuto da Gateway Pundit, un blog complottista che ormai tutti conoscono dopo la campagna per le presidenziali di Trump. È stata diffusa poi l’informazione che il killer facesse parte di un gruppo anti-fascista e fosse legato all’Antifa della sinistra americana. A quel punto su una pagina falsa di Facebook, chiamata proprio Antifa, è apparsa una rivendicazione della sparatoria, dove si poteva leggere che «l’obiettivo dell’attacco era uccidere i cani fascisti che supportano Trump». In seguito l’omicida, per gli utenti dei social network, è diventato un sostenitore di Hillary Clinton.

Gli utenti su Google hanno cominciato a scrivere il nome falso del presunto assassino. Su Geary Danley, ormai, nel server si susseguivano le notizie connesse alla tragedia di Las Vegas e al suo odio per Trump. Ci sono volute ore ed ore per capire che era opera dei troll.

Ogni volta che una fake news si diffonde, si incolpa l’algoritmo: Google si è pubblicamente scusata per l’accaduto. Facebook ha detto di aver rimosso i post, ma che erano stati fatti degli screenshot e stavano ancora circolando on line. «Stiamo lavorando per sistemare la cos»”.

I troll non si fermano, non dormono e non smettono di scrivere nemmeno sotto fuoco americano, nemmeno dopo quello che i giornali anglofoni chiamano tutti carnage, carneficina. Sono stati gli utenti di Reddit a sospettare e bloccare l’onda di fake news. Ora tutti si chiedono: che cosa è successo? L’alt-right è riuscita a manipolare gli algoritmi del social media più famoso del mondo? È crap, spazzatura, che però alimenta il traffico di Facebook, l’unica cosa che conta davvero per il social network.