San Ferdinando (RC), la polizia ha tentato venerdì mattina di sgombrare definitivamente quello che è stato uno dei ghetti più grandi d'Italia. Potrebbe sembrare una buona notizia per i lavoratori stranieri costretti a vivere nella baraccopoli, a poca distanza dai campi in cui raccolgono agrumi per pochi euro. Ma - come siamo abituati dalle cronache - anche in questo caso il piano B della Prefettura prevede una sistemazione peggiore della precedente. Stando almeno a quanto dicono molti "ospiti" di San Ferdinando. Che, per questo motivo, si sono opposti allo sgombero forzato. La polizia ha tentato di convincere i lavoratori rimasti a trasferirsi nel "magazzino Rizzo", una struttura da poco resa disponibile per ospitarli, che conta 250 posti letto. Per entrare in questo "ghetto legalizzato", che di fatto prolunga la gestione emergenziale della questione abitativa (ed esistenziale) dei lavoratori, occorre però avere i documenti in regola. Una parte dei numerosi migranti che ancora risiedono nella baraccopoli hanno rifiutato di spostarsi, e per il momento lo sgombero è stato rimandato. Un migrante di San Ferdinando, intervistato da Radio onda rossa, ha dichiarato che la polizia aveva precedentemente posizionato dei volantini in cui informava che oggi sarebbe stato l'ultimo giorno in cui la presenza degli ospiti della baraccopoli sarebbe stata tollerata, e che essi si sarebbero dovuti trasferire nel magazzino Rizzo oppure nella nuova tendopoli della Protezione civile, costruita questa estate. https://twitter.com/frontiere_zero/status/916325451089567744 Una parte degli "ospiti" di quello che era conosciuto come "ghetto di Rosarno" - infatti - era stato precedentemente trasferito in questa nuova tendopoli, una struttura con 464 alloggi, telecamere e badge per l'ingresso, ma molti migranti avevano comunque preferito continuare a vivere nella baraccopoli, senza l'invadente controllo delle telecamere, l'obbligo di avere documenti in regola, e con la possibilità di cucinare autonomamente ciò che preferiscono. Il testimone intervistato, via etere, prosegue poi la denuncia specificando che «non sono stati resi disponibili posti per tutti i migranti», e che «la gente non ha voluto accettare la nuova soluzione anche perché si può accedere al magazzino Rizzo solo previa identificazione forzata», inoltre alcune persone avrebbero dichiarato di non voler fare parte di quello che viene considerato un «business» fatto sulla loro pelle. Presente stamani anche un delegato della Cgil, in funzione di mediatore tra le autorità e gli ospiti della baraccopoli. Secondo la segretaria della Piana di Gioia Tauro Celeste Logiacco, contattata da Left, il sindacato «sta riconoscendo gli sforzi delle istituzioni affinché si superi la vecchia baraccopoli, una situazione di assoluto degrado» aggiungendo poi che «la soluzione della nuova tendopoli non può essere una soluzione definitiva ma solo transitoria, un passaggio per arrivare ad una accoglienza vera». Logiacco specifica che la Cgil aveva infatti richiesto che venisse trovata una soluzione per tutti, non solo per chi ha il permesso di soggiorno. Per il momento, però, dalla Prefettura arriva solamente l'offerta del capannone Rizzo e di qualche posto in più nella nuova tendopoli della Protezione civile. Non per tutti è previsto un tetto, insomma. «Non è una soluzione ottimale, abbiamo proposto soluzioni alternative come i containers, ma è comunque meglio della vecchia baraccopoli», prosegue la sindacalista. «Alcune tra le persone che dichiarano di opporsi al trasferimento, comunque, potrebbero essere vicine ai caporali, e per questo non vedere di buon occhio la Cgil, che invece combatte il caporalato», chiosa. Il Comitato Lavoratori delle Campagne, che da tempo segue la vicenda, ha invece una linea molto più dura. «Le istituzioni insistono nella loro opera di repressione e controllo senza riuscire a trovare alternative valide ma continuando a spostare i lavoratori e le lavoratrici da una tendopoli all’altra - scrive in una nota - senza che nessuno abbia preso in considerazione realmente le loro richieste». https://www.facebook.com/comitatolavoratoridellecampagne/posts/1587371914662261 Meglio conosciuto come il "ghetto di Rosarno", nel 2010 è stato teatro di una celebre rivolta, e fino a poco tempo fa ospitava circa 2000 persone. Poi un incendio a luglio ha parzialmente distrutto la baraccopoli e ad agosto sono cominciati i trasferimenti verso la nuova tendopoli.   [su_divider text="In edicola " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

Questi temi sono stati approfonditi nell'inchiesta Caporalato, la rivoluzione mancata, su Left n°39

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San Ferdinando (RC), la polizia ha tentato venerdì mattina di sgombrare definitivamente quello che è stato uno dei ghetti più grandi d’Italia. Potrebbe sembrare una buona notizia per i lavoratori stranieri costretti a vivere nella baraccopoli, a poca distanza dai campi in cui raccolgono agrumi per pochi euro. Ma – come siamo abituati dalle cronache – anche in questo caso il piano B della Prefettura prevede una sistemazione peggiore della precedente. Stando almeno a quanto dicono molti “ospiti” di San Ferdinando. Che, per questo motivo, si sono opposti allo sgombero forzato.

La polizia ha tentato di convincere i lavoratori rimasti a trasferirsi nel “magazzino Rizzo”, una struttura da poco resa disponibile per ospitarli, che conta 250 posti letto. Per entrare in questo “ghetto legalizzato”, che di fatto prolunga la gestione emergenziale della questione abitativa (ed esistenziale) dei lavoratori, occorre però avere i documenti in regola. Una parte dei numerosi migranti che ancora risiedono nella baraccopoli hanno rifiutato di spostarsi, e per il momento lo sgombero è stato rimandato.

Un migrante di San Ferdinando, intervistato da Radio onda rossa, ha dichiarato che la polizia aveva precedentemente posizionato dei volantini in cui informava che oggi sarebbe stato l’ultimo giorno in cui la presenza degli ospiti della baraccopoli sarebbe stata tollerata, e che essi si sarebbero dovuti trasferire nel magazzino Rizzo oppure nella nuova tendopoli della Protezione civile, costruita questa estate.

Una parte degli “ospiti” di quello che era conosciuto come “ghetto di Rosarno” – infatti – era stato precedentemente trasferito in questa nuova tendopoli, una struttura con 464 alloggi, telecamere e badge per l’ingresso, ma molti migranti avevano comunque preferito continuare a vivere nella baraccopoli, senza l’invadente controllo delle telecamere, l’obbligo di avere documenti in regola, e con la possibilità di cucinare autonomamente ciò che preferiscono.

Il testimone intervistato, via etere, prosegue poi la denuncia specificando che «non sono stati resi disponibili posti per tutti i migranti», e che «la gente non ha voluto accettare la nuova soluzione anche perché si può accedere al magazzino Rizzo solo previa identificazione forzata», inoltre alcune persone avrebbero dichiarato di non voler fare parte di quello che viene considerato un «business» fatto sulla loro pelle.

Presente stamani anche un delegato della Cgil, in funzione di mediatore tra le autorità e gli ospiti della baraccopoli. Secondo la segretaria della Piana di Gioia Tauro Celeste Logiacco, contattata da Left, il sindacato «sta riconoscendo gli sforzi delle istituzioni affinché si superi la vecchia baraccopoli, una situazione di assoluto degrado» aggiungendo poi che «la soluzione della nuova tendopoli non può essere una soluzione definitiva ma solo transitoria, un passaggio per arrivare ad una accoglienza vera». Logiacco specifica che la Cgil aveva infatti richiesto che venisse trovata una soluzione per tutti, non solo per chi ha il permesso di soggiorno.

Per il momento, però, dalla Prefettura arriva solamente l’offerta del capannone Rizzo e di qualche posto in più nella nuova tendopoli della Protezione civile. Non per tutti è previsto un tetto, insomma. «Non è una soluzione ottimale, abbiamo proposto soluzioni alternative come i containers, ma è comunque meglio della vecchia baraccopoli», prosegue la sindacalista. «Alcune tra le persone che dichiarano di opporsi al trasferimento, comunque, potrebbero essere vicine ai caporali, e per questo non vedere di buon occhio la Cgil, che invece combatte il caporalato», chiosa.

Il Comitato Lavoratori delle Campagne, che da tempo segue la vicenda, ha invece una linea molto più dura. «Le istituzioni insistono nella loro opera di repressione e controllo senza riuscire a trovare alternative valide ma continuando a spostare i lavoratori e le lavoratrici da una tendopoli all’altra – scrive in una nota – senza che nessuno abbia preso in considerazione realmente le loro richieste».

https://www.facebook.com/comitatolavoratoridellecampagne/posts/1587371914662261

Meglio conosciuto come il “ghetto di Rosarno”, nel 2010 è stato teatro di una celebre rivolta, e fino a poco tempo fa ospitava circa 2000 persone. Poi un incendio a luglio ha parzialmente distrutto la baraccopoli e ad agosto sono cominciati i trasferimenti verso la nuova tendopoli.

 

Questi temi sono stati approfonditi nell’inchiesta Caporalato, la rivoluzione mancata, su Left n°39


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