La rivincita delle Yazide è mimetica come le loro divise, colorata come le stoffe con cui si raccolgono i capelli sulla testa, forte come le loro braccia spiegate con i fucili in battaglia. La loro bandiera di guerra per “liberare le sorelle” è rossa: è quella dello Yjs, quella delle donne delle unità di protezione del Sinjar, e c’è sopra un piccolo sole appuntito su uno sfondo verde. Le foto dei caduti sono spesso appese alle pareti delle loro basi militari, ci sono i volti dei martiri della libertà, compagni morti in battaglia, e tra le tante facce, quella dell’uomo che più di ogni altro le ispira: quella baffuta di Abdullah Ocalan, fondatore del Pkk curdo, unico prigioniero dell’isola di Imrali, Turchia.
La Sdf, la coalizione siriana democratica, 40mila combattenti, conta tra le sue fila arabi, turcomanni, assiri e le spalleggia nel territorio. Prima su questo confine di guerra c’era il fronte di al Nusra, poi sono arrivati gli uomini neri del Califfato. A Raqqa, la città per cui combattono queste ragazze ci sono amiche, parenti, cugine, sorelle, ancora sotto le mani dei jihadisti, proprio in queste ore. Dove sono, si chiedono, ma soprattutto: sono ancora vive?
Tra chi ha scelto di rimanere, non scappare e combattere, c’è chi è passata sotto la canna del fucile di un rapitore radicale sunnita. Sono ragazze che hanno scelto di cambiare la traiettoria al destino di altre ragazze, della loro età, prigioniere oltre le trincee che osservano ogni giorno. La loro lotta è internazionale come il loro appello e viaggia via social network. Affiliate allo Ypj, le unità di protezione curde femminili, le yazide chiamano alle armi tutte le altre per rinvigorire il movimento antifascista in tutto il mondo. Sconfiggere i jihadisti è importante quanto fermare i nazisti. Da Raqqa, Siria fino in Virginia, America.
Fino a loro, sul campo di battaglia, è arrivata la notizia della morte dell’attivista antifascista Heather Heyer, a Charlottesville, nell’America di Trump e una delle loro scritte dice “unite against fascism”, unite contro il fascismo. «Come donne che hanno sofferto la persecuzione dell’Isis, conosciamo bene i pericoli dei fascisti, dei razzisti, dei nazionalisti patriarcali. Hanno martirizzato una donna che stava resistendo alla distruzione di una comunità. La lotta di Heather è la nostra lotta, è la stessa lotta contro il fascismo, una battaglia globale. Per questo facciamo appello a tutte le donne del mondo, devono unirsi contro il terrorismo, per mettere fine a gruppi come quello dell’Isis, o quelli che uccidono donne come Heather».
«Ci sono stati 73 massacri diversi di Yazidi in questi anni, cerchiamo di proteggere il nostro popolo» dicono le ragazze che «non avrebbero mai pensato di poter imparare ad usare un’arma. Di poter essere indipendenti». Ragazze che ora sanno “di potersi fidare di se stesse”. Ragazze e donne, dell’etnia più perseguitata di questa guerra siriana, rapite per essere stuprate, poi ripetutamente rivendute come schiave, serve, mogli dai miliziani del Daesh. Anche per questo, la comunità internazionale parla di genocidio quando si riferisce al popolo antichissimo degli Yazidi, che affonda le radici della sua storia nello zoroastrismo. Vivevano al confine iracheno-siriano, nei villaggi di Sinjar, prima che l’Isis arrivasse nel 2014. Adesso, dicono le ragazze in divisa, «abbiamo provato al mondo che sappiamo difenderci, se lo avessimo saputo fare dall’inizio, forse tutto questo non sarebbe successo».