Il Partito democratico ha un giornale ufficiale. Fermi tutti, no, non è l’Unità: quella è stata rottamata con tutta la sua storia poiché il renzismo, si sa, teme la memoria e la complessità e quindi il quotidiano fondato da Gramsci era un fardello troppo pesante da sopportare. Il “nuovo” foglio democratico si chiama Democratica (a proposito di quello che doveva essere un “maestro della comunicazione”, ricordate?) e nel numero di ieri (non sei mesi fa, ieri martedì 10 ottobre) ospitava un’intervista sulla legge elettorale al deputato Pd Ettore Rosato.
Chiede il giornalista: “Sarà necessario porre la fiducia sulla legge, per superare l’impasse dei voti segreti?”.
Risponde Rosato (ieri, tenetevelo a mente, ieri): «Ritengo che sia legittimo utilizzare ogni strumento regolamentare per evitare di cadere nelle trappole del voto segreto, come è già accaduto nel recente passato. Di fronte al rischio di un uso strumentale del voto segreto, noi usiamo altri strumenti parlamentari. Dopo di che ci confronteremo in Aula, come abbiamo sempre fatto. Al momento del voto finale sul provvedimento ogni deputato si esprimerà in piena libertà per affermare se intende sostenere o no questa nuova legge elettorale”. E invece no. Non si confronteranno in aula. Guarda un po’. È tutto qui.
Non è finita. Nel giorno di insediamento del suo governo il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni disse: «La legge elettorale prenderà corpo il confronto tra le forze parlamentari e la necessaria armonizzazione delle norme tra Camera e Senato. Un confronto nel quale il governo, ci tengo a ribadirlo, non sarà l’attore protagonista. Spetta a voi, onorevoli colleghi, la responsabilità di promuovere e trovare intese efficaci». E invece no. Niente.
Ancora. Nel 2009 la democratica Lanzillotta protesta contro il voto di fiducia messo dal governo di centrodestra sul decreto sicurezza. Dice: «In questo modo si aggirerebbero le garanzie regolamentari che consentono la richiesta del voto segreto sulle disposizioni volte ad incidere sui diritti fondamentali. Siamo certi che il Presidente della Camera non vorrà consentire questa umiliazione della Camera dei Deputati». Ma poi ha cambiato idea. Evidentemente.
Poi c’è lui, il bugiardo cronico. È il 15 gennaio 2014 e Matteo Renzi twitta: «Legge elettorale. Le regole si scrivono tutti insieme, se possibile. Farle a colpi di maggioranza è uno stile che abbiamo sempre contestato».
Serve altro?
Buon mercoledì.