Atei e non credenti sono un terzo della popolazione mondiale. Ma il pensiero religioso, seppur in crisi, attecchisce ancora nei Paesi di cultura illuminista. Come possono convivere idee apparentemente così diverse? Lo abbiamo chiesto allo psichiatra Paolo Fiori Nastro

 

Chi si è trovato a passeggiare questa estate dalle parti di via Giulia, nel centro storico di Roma, non può non aver notato un insolito cartello affisso sul portone di una chiesa che diceva più o meno così: «Chiuso per ferie». Lungo la parallela della strada fatta costruire da Giulio II nel 1512, in via di Monserrato, a pochi passi da piazza Farnese, il parroco di San Girolamo della Carità avvisava in questo modo che avrebbe sospeso tutte le attività pastorali – messe comprese – dal 17 luglio al 16 settembre. Motivo? Carenza di fedeli nel periodo estivo. “Dio è morto?”. “Is god dead?”. Era l’8 aprile del 1966 quando il Time arrivò in edicola con questo titolo in copertina provocando un putiferio. Il Concilio vaticano II si era concluso quattro mesi prima e la cover story del noto magazine statunitense esaminava in profondità i problemi che i teologi avrebbero dovuto affrontare per dare nuova linfa al pensiero e alle pratiche religiose in una società sempre più laica. La scienza moderna, dalla fisica alla biologia, aveva eliminato la necessità di ricorrere alla religione per trovare determinate risposte e spiegazioni, e dio – non solo quello dei cattolici – occupava sempre meno spazio nella vita quotidiana delle persone. Questa l’ipotesi del Time, che attirò su di sé critiche pesanti sia del suo pubblico che del clero nordamericano. Gran parte dei detrattori si scagliarono contro il titolo provocatorio in copertina, piuttosto che contro il contenuto dell’articolo (curiosamente, come accade oggi sui social media, molti evitarono di confrontarsi sul merito). Fatto sta che “Dio è morto?” segnò doppiamente la vita del giornale. In positivo. Per la prima volta sulla cover di un magazine si utilizzò il testo senza l’immagine di accompagnamento, e stando alle vendite l’esperimento è andato molto bene. Ma soprattutto, nel 2008, il Los Angeles Times l’ha inserita tra le prime dieci copertine che hanno scosso l’opinione pubblica mondiale. In effetti nel mezzo secolo e passa che intercorre tra il titolo del Time e la chiusura per ferie di San Girolamo della Carità, in ottica religiosa tante cose sono cambiate, specie in termini numerici su scala mondiale – come vedremo in queste pagine e più in generale nell’intero sfoglio dedicato all’ateismo. Diverse…

La cover story di Federico Tulli prosegue su Left in edicola


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Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).