"Non è lavoro, è sfruttamento”, il nuovo libro della ricercatrice: storie e cifre che svelano le narrazioni tossiche sulla “naturalità” dei rapporti di sfruttamento. Con il coraggio politico di denunciare la frammentazione creata ad hoc per fermare la lotta dei lavoratori

Non è lavoro, è sfruttamento della ricercatrice e giornalista Marta Fana è un lavoro militante che muove da una rabbia che non piega mai sull’invidia anticasta e che recupera la positività dell’Elogio dell’odio di classe di Edoardo Sanguineti dedicata a Pietro Ingrao. Questo saggio, edito da Laterza, è caratterizzato da una forte tensione etico morale intrecciata al recupero della dimensione collettiva, la politica come fondamento del farsi della Storia. Una figura di militante – quella dell’autrice – che riesce a coniugare il meglio della tradizione operaista (rispetto all’inchiesta ed alla condivisione empatica dei soggetti indagati e rappresentati) assieme all’individuazione e disvelamento dei dispositivi disciplinari delle moderne forme di assoggettamento: tutto questo senza rendere evanescente fino alla scomparsa teorica e politica il potenziale soggetto della trasformazione.

Il libro recupera in maniera efficacemente provocatoria la dimensione di classe insita nelle attuali trasformazioni sociali, con espliciti riferimenti a Marx ed alla teoria del valore nel processo di accumulazione del capitale. Questo è un indubbio atto di coraggio politico ed intellettuale. Marta Fana ci guida nell’inferno del lavoro precario, a tempo determinato permanente, part-time involontario, a progetto, flessibile, a rimborso di scontrini, povero, gratuito attraverso la voce dei soggetti che ne vivono sulla pelle il peso e le pratiche, restituendoci uno spaccato di parte significativa della condizione del lavoro nell’Italia di oggi. Sempre con una indignazione che non fa mai venir meno il rigore scientifico dell’analisi, sempre con l’obbiettivo di contribuire alla ricostruzione di una consapevolezza del portato sociale dei fenomeni indagati.

L’oggetto della discussione è la coscienza di classe, motore della storia, la cui esistenza è negata nella retorica dominante. È un lavoro che disvela la narrazione tossica delle classi dominanti rispetto alla naturalità dei processi in essere. Scorrono davanti a noi vite di fattorini chiamati riders, le facce nascoste dei soggetti reali del capitalismo delle piattaforme, degli studenti dell’alternanza scuola lavoro e dei migranti assoggettati all’estrazione totale di valore tramite il lavoro gratuito e disciplinati per i lavori a venire…

L’articolo di Maurizio Brotini prosegue su Left in edicola


SOMMARIO ACQUISTA