Centinaia di associazioni, comitati, il mondo della scuola e del lavoro: prove tecniche di una nuova rete anti razzista. Perché difendere i diritti dei migranti è un atto politico per difendere i diritti di tutti, contro la xenofobia alimentata dalle destre e dalle politiche del Pd

È un atto politico a tutti gli effetti la manifestazione nazionale contro il razzismo del 21 ottobre. Centinaia di associazioni, comitati, movimenti locali oltre alle grandi reti dell’Arci, di Libera, del mondo del lavoro e della scuola, scendono in piazza a Roma dopo tanto tempo per dare un segnale preciso. «Non facciamo sconti a nessuno, né al governo né all’opposizione», dice Filippo Miraglia vicepresidente dell’Arci, che da sempre si occupa di immigrazione, fin dai tempi della Rete antirazzista nazionale degli anni Novanta. «C’è una responsabilità del governo per le scelte che ha fatto e che continua a fare, ma c’è anche una responsabilità dell’opposizione, sia quella populista del M5s che ha subìto una forte virata a destra nell’ultimo periodo, che quella più preoccupante e xenofoba della Lega di Salvini che ha costruito la propria identità contro gli altri e contro le minoranze».

La Lega che ha promosso il referendum per l’autonomia del Veneto e della Lombardia del 22 ottobre è la stessa che ha esultato per la vittoria delle forze xenofobe in Austria. Insomma, un clima che si fa sempre più pesante. E il governo, da parte sua, ha contribuito non poco. Lo stop allo ius soli infatti è solo l’ultimo evento del 2017, l’anno del premier Gentiloni che con il ministro dell’Interno Minniti ha varato dei provvedimenti – dal decreto sull’immigrazione a quello sulla sicurezza urbana – che hanno alimentato paura e xenofobia. Così come la missione in Libia “per fermare il flusso migratorio”, voluta in sostanza da tutti i partiti, eccetto l’opposizione di sinistra – con Mdp che però si è spaccato -, ha dato un’accelerata alla negazione dei diritti dei rifugiati e dei migranti.

«Vediamo un po’ meno sofferenza sotto i nostri occhi, sì, ma è solo perché il confine della sofferenza si è spostato verso sud», sottolinea Marco Bertotto, responsabile advocacy di Medici senza frontiere, una delle Ong nel mirino del codice Minniti. Dal Nordafrica, continua Bertotto, arrivano senza sosta segnali d’allarme. «Operiamo ogni giorno nei centri di detenzione in Libia, e vediamo direttamente le “conseguenze” delle politiche europee». Conseguenze contro le quali si è mosso persino il Consiglio d’Europa che, tramite il commissario dei Diritti umani Nils Muiznieks, ha chiesto chiarimenti al ministro Minniti circa l’accordo militare con la Libia…

 

L’inchiesta di Donatella Coccoli e Leonardo Filippi prosegue su Left in edicola


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