Si inizia con un lunedì scoppiettante che passerà agli annali: in Lombardia l’ex sceriffo Roberto Maroni, quello diventato famoso grazie alla scopa di saggina e alla narrazione disinfettata della Lombardia senza mafie, si prende una sberla in pieno viso e (ormai i bulli sbriciolati da un referendum sono un vero e proprio genere letterario) finge soddisfazione come un Cirino Pomicino qualsiasi.
Nei giorni scorsi c’è stato il tenero tentativo di arginare la disfatta: disse, il Maroni detto con l’articolo alla milanese, che gli sarebbe bastato un 34 per cento di partecipazione (perché con i referendum inutili non contano mica i sì o i no ma conta solo la partecipazione, l’hanno capito tutti tranne gli amici del Pd e quel Giorgio Gori che dovrebbe sconfiggere Maroni, pensa te). Fissare l’asticella al 34 per cento di partecipazione di un referendum che vorrebbe profumare di Catalogna equivale più o meno all’avere una fidanzata immaginaria certificata da una foto nel portafoglio ritagliata da qualche rivista.
Poi ci ha detto che il referendum sarebbe stato scintillante perché “digitale”. E tutti a esultare, con l’ansia della coda per il primo videofonino che poi alla fine non ha mai usato nessuno e quando qualcuno gli ha fatto notare che i “tablet” (che non sono tablet e che non possono essere riutilizzati nelle scuole come ci ha raccontato la propaganda leghista) erano stati pagati quanto una quota di maggioranza di un’azienda della Silicon Valley, Maroni, il Maroni, ci ha risposto che la qualità si paga. Peccato che la qualità del fornitore (SmartMatic) sia finita nella “lista nera” degli Usa per il fiasco elettorale di Chicago (quando votarono addirittura “i morti”, come nella migliore tradizione cartacea) e il suo fondatore, Antonio Mugica, è accusato da tempo di essere stato “vicino” a Chavez e ai suoi eredi e di avere intenzionalmente manipolato le regole elettorali in Venezuela (qui un articolo). Poi i tablet non hanno funzionato come il previsto. Poi i risultati cartacei sono arrivati prima di quelli ipertecnologici. Olè.
Poi, come se non bastasse, per Maroni c’è il risultato del suo compagno di partito Zaia che in Veneto quasi lo doppia facendolo scivolare di diritto tra i vecchi arnesi della Lega (nel cassonetto di Bossi, Belsito, una pessima compagnia). In pratica Maroni, con il suo altisonante risultato, può ambire all’autonomia del suo quartiere e ora è riuscito nel capolavoro: ha indetto un referendum (che non serviva) per chiedere qualcosa al governo e ne è uscito talmente screditato che ora non gli risponderanno nemmeno al citofono.
Quindi ora si dimette, vero?
Buon lunedì.