Il segretario generale è pronto al suo secondo mandato di cinque anni alla guida del colosso asiatico. E punta a restituire alla Cina il ruolo di potenza globale. Ma dovrà fare i conti con le difficili sfide interne, economiche e non solo

Come sarà la Cina del 2050? Sarà moderna, socialista, moderatamente prospera, armoniosa, bella e democratica (inteso non secondo i canoni occidentali). L’orizzonte temporale e l’immagine della Repubblica popolare che si riprende un ruolo centrale sullo scenario internazionale sono stati tracciati dal presidente Xi Jinping in apertura del 19esimo congresso del Partito comunista. Nella Grande sala del popolo affacciata su Piazza Tian’anmen, teatro dei grandi appuntamenti politici del Paese, 2280 delegati, tra cui i due predecessori di Xi, Jiang Zemin e Hu Jintao, hanno ascoltato e applaudito le tre ore e mezza di discorso del segretario generale pronto al suo secondo mandato di cinque anni.

L’anziano Jiang, a 91 anni suonati e tra qualche sbadiglio, è stato l’unico che in qualche modo ha rubato la scena al capo di Stato, il cui status ormai si avvicina a quello riservato prima di lui soltanto ai due timonieri del passato, Mao Zedong e Deng Xiaoping.

La Cina delineata da Xi sarà però, soprattutto, una potenza, sotto ogni aspetto: scientifico e tecnologico, marittimo, commerciale, culturale, educativo e, da ultimo, anche nel campo dello sport (non necessariamente soltanto nel calcio, sul quale, ora di meno, negli ultimi anni Pechino ha investito tempo e soprattutto milioni).
Uno dei termini più ricorrenti del torrenziale discorso del presidente è stato appunto “qiangguo”. Una locuzione ripetuta 19 volte in duecentodieci minuti e che rimanda a tutto il dibattito storico dell’incontro tra la Cina e i Paesi occidentali nel corso dell’Ottocento, quando per l’impero di mezzo iniziò quello che è considerato “il secolo dell’umiliazione”. Il sogno cinese che Xi Jinping ha voluto infondere ai cittadini della Repubblica popolare altro non è quindi che una sorta di risorgimento nazionale, con il quale l’attuale leadership comunista ha messo da parte le cautele dei predecessori, gli stessi che durante il passato decennio dorato di crescita economica a doppia cifra, continuavano a descrivere la Cina come un Paese in via di sviluppo…

 

L’articolo di Andrea Pira prosegue su Left in edicola


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