Riesce ad avvincere e a convincere perché tocca quei nervi scoperti e doloranti della condizione umana a cui più nessuno, men che meno la cosiddetta sinistra dell’Internazionale socialista che ai suoi precipui compiti storici ha da tempo abdicato, è in grado di portare cure che diano sollievo e speranza

Mi è successo di assistere a un discorso di Pepe Mujica. È stato circa due anni fa, a San Paolo del Brasile, nel corso del congresso della Cut, la confederazione sindacale brasiliana. Sul palco c’erano l’allora presidente brasiliana Dilma Rousseff, l’ex presidente Lula, il leader del sindacato Vagner. E Mujica, appunto. E anche a me è successo di vedere quello che avviene quando questo uomo piccolo, modesto nei modi e negli sguardi, prende la parola in pubblico. L’attenzione, prima scarsa, cresce pian piano. Gli sguardi cercano il microfono o il punto luce. Il brusio si placa e presto non si fa attenzione che alle sue parole. Quelle parole all’apparenza antiche, quelle parole piene di un senso che la cosiddetta modernità non riconosce più ma che parlano al cuore delle masse latinoamericane fatte di individui che avvertono ancora e sempre più come una ferita sulla propria carne le ingiustizie del mondo, le disuguaglianze che la globalizzazione provoca e acuisce, le sofferenze provocate da un’economia senza governo e senza regole se non quelle del profitto.

Mujica parla pacatamente e senza artifici retorici, ma riesce ad avvincere e a convincere perché tocca quei nervi scoperti e doloranti della condizione umana nel tempo presente a cui più nessuno, men che meno la cosiddetta sinistra dell’Internazionale socialista che ai suoi precipui compiti storici ha da tempo abdicato, è in grado di portare cure che diano sollievo e speranza. Mujica parla di libertà, libertà dal tempo del lavoro disumanizzato e dal bisogno, quella libertà a cui ciascuno di noi sente di avere diritto.

Parla di democrazia, nel tempo in cui le élites si rinserrano nei palazzi del potere e innalzano muri di esclusione e silenzio verso i deboli e i più poveri. Parla di denaro e di falsi bisogni indotti da questi tempi bugiardi, programmati per produrre individualismo e solitudine. Parla di un modello di sviluppo e di una mistica della crescita senza limiti che sta portando al collasso del pianeta e della vita, all’esaurimento dell’acqua e dell’aria pulita. Mujica parla e chi lo ascolta non può fare a meno di pensare alla forza evocativa delle sue parole, all’identificazione con la condizione di chi sta solo subendo le conseguenze negative del ciclo economico, al percorso di emancipazione e di riscatto che egli fa intravedere. Esattamente come i leader dei movimenti politici e sociali che nel Novecento hanno indicato ai popoli del mondo una prospettiva e un’idea di futuro.

Mujica parla e quando lo si ascolta diventa chiaro che solo questa idea della politica, un’idea di passione e di lavoro quotidiano per il cambiamento concreto e la trasformazione dell’esistente, può ridare fiducia ai militanti e agli attivisti politici e restituire senso al loro impegno. E non deve essere un caso se sono leader nati nel secolo scorso – Pepe Mujica, Bernie Sanders, Jeremy Corbyn, appunto – ad avere capito la necessità di assumersi la responsabilità di far rivivere principi e valori della sinistra, di scaldare i cuori e le menti delle generazioni giovani e di soffiare energie ed entusiasmo in una scena politica del ventunesimo secolo che ha bisogno di liberarsi finalmente dai mantra del neoliberismo e dalla mortificazione della speranza schiacciata dal rigore, dall’austerità, dalla disciplina di bilancio. Un messaggio giovane e antico, come Pepe Mujica e le sue idee del mondo possibile, il mondo del domani.

Fausto Durante è coordinatore aree politiche europee e internazionali della Cgil

L’articolo di Fausto Durante è tratto da Left in edicola


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