Chi sono i colpevoli per la morte di Anna Frank? Oggi, 75 anni dopo quel tragico 4 agosto 1944, quando la Gestapo bussò alla sua porta per portarla via, un agente in pensione dell'Fbi ha deciso di scoprirlo. Quel giorno d'agosto tutti furono arrestati, tranne Otto, il padre di Anna, poi editore del diario della giovane ragazza, morta nel campo di concentramento. Morta in mezzo ai morti, centinaia di migliaia, perché qualcuno aveva svelato il segreto celato dietro quella libreria, il segreto della ragazza che scriveva il suo libro protetta da una barriera di libri. Ma chi lo ha fatto, chi ha parlato e ha ucciso Anna? L'agente dell'Fbi in pensione a capo delle indagini si chiama Vince Pankoke, ha 59 anni e ha deciso di usare mezzi forensi moderni per investigare un crimine commesso quasi un secolo fa. Prima ha trascorso la sua vita come agente sotto copertura tra gli agenti di Wall Street contro i crimini finanziari, prima ancora tentava di arrestare le bande colombiane coinvolte nel traffico di droga, poi in seguito, si è occupato delle comunicazioni telefoniche avute tra i dirottatori dell'undici settembre a New York. «Seguiremo nuove tracce, analizzeremo le prove appena ci metteremo su le mani, sappiamo che questo ci condurrà ad altre investigazioni», ha detto spiegando il metodo di ricerca digitale applicato al diario stesso. Con la sua squadra, sta procedendo ad analizzare, via computer data, anche milioni di pagine degli archivi nazionali di Paesi Bassi, Germania ed Israele. È una ricostruzione che verrà avviata anche con il crowdsourcing. Quanto viaggiava il suono delle voci in casa di Anna? Da quanti metri era udibile fuori? Dopo la ricostruzione in 3d del team americano, potremo saperlo grazie al modello digitale del nascondiglio. Tutte le vecchie prove, dovranno di nuovo essere riesaminate. Quel bussare sul muro di cui parla Anna nel diario, è un segnale per fare silenzio o una trappola in cui cadere per essere arrestati? È ancora «un open end», spiega Ronald Leopold, direttore della House foundation Anna Frank, che un milione e trecentomila turisti visitano ogni anno. Oggi verranno usati metodi che non esistevano nel 1948, né nel 1963, anni in cui la polizia nazionale olandese ha provato ad indagare su quell'ultimo giorno. La novità della nuova ricerca è nel metodo, l'esame forense, e il risultato da raggiungere è una verità che l'agente americano ha promesso di ritrovare e rivelare proprio il 4 agosto 2019. Due anni: per due anni Anna rimase in quella casa, di quei due anni sappiamo tutto, tranne come andò davvero il 4 agosto 1944, quando fu spedita a Bergen Belsen, nel campo di concentramento dove si crede sia morta nel febbraio del 1945, insieme ad alcuni dei 108mila ebrei deportati dal paese. Di loro 5500 circa, tornarono indietro. Anna in Olanda è una questione nazionale oggi, proprio come lo fu dopo la liberazione. «Prima era la ragazza che proteggevamo, ora è la ragazza che abbiamo tradito, Anna è una percezione di come gli olandesi percepiscono se stessi durante l’occupazione» spiega il professore Bart Van Der Boom, Università di Leiden. Una percezione cambiata negli anni 60, quando gli olandesi sfidarono la narrativa dell'occupazione nazista, capendo che non erano stati solo “vittime” dei tedeschi, ma anche compartecipi, collaboratori dei nazisti. Come Anna, nelle soffitte, nelle cantine, dentro qualsiasi cosa potesse contenerli, si sono nascosti 28mila ebrei per quattro lunghi anni e di loro un terzo fu arrestato, per colpa dei Jodenjagers, i cacciatori di ebrei. Chi ricorda tutto quello che è successo adesso? «Parte della storia è andata perduta con la sabbia del tempo» ha detto l'ex infiltrato americano dai capelli bianchi. Di crimini se ne commettono tanti ogni giorno, ma Vince, che è già in pensione, ha detto che «riaprire il caso, servirà a risvegliare la coscienza della gente, a far tornare le memorie dell'Olocausto che ho paura stiano scomparendo, in un'era di genocidi e atrocità».

Chi sono i colpevoli per la morte di Anna Frank? Oggi, 75 anni dopo quel tragico 4 agosto 1944, quando la Gestapo bussò alla sua porta per portarla via, un agente in pensione dell’Fbi ha deciso di scoprirlo.

Quel giorno d’agosto tutti furono arrestati, tranne Otto, il padre di Anna, poi editore del diario della giovane ragazza, morta nel campo di concentramento. Morta in mezzo ai morti, centinaia di migliaia, perché qualcuno aveva svelato il segreto celato dietro quella libreria, il segreto della ragazza che scriveva il suo libro protetta da una barriera di libri. Ma chi lo ha fatto, chi ha parlato e ha ucciso Anna?

L’agente dell’Fbi in pensione a capo delle indagini si chiama Vince Pankoke, ha 59 anni e ha deciso di usare mezzi forensi moderni per investigare un crimine commesso quasi un secolo fa. Prima ha trascorso la sua vita come agente sotto copertura tra gli agenti di Wall Street contro i crimini finanziari, prima ancora tentava di arrestare le bande colombiane coinvolte nel traffico di droga, poi in seguito, si è occupato delle comunicazioni telefoniche avute tra i dirottatori dell’undici settembre a New York. «Seguiremo nuove tracce, analizzeremo le prove appena ci metteremo su le mani, sappiamo che questo ci condurrà ad altre investigazioni», ha detto spiegando il metodo di ricerca digitale applicato al diario stesso. Con la sua squadra, sta procedendo ad analizzare, via computer data, anche milioni di pagine degli archivi nazionali di Paesi Bassi, Germania ed Israele. È una ricostruzione che verrà avviata anche con il crowdsourcing.

Quanto viaggiava il suono delle voci in casa di Anna? Da quanti metri era udibile fuori? Dopo la ricostruzione in 3d del team americano, potremo saperlo grazie al modello digitale del nascondiglio. Tutte le vecchie prove, dovranno di nuovo essere riesaminate. Quel bussare sul muro di cui parla Anna nel diario, è un segnale per fare silenzio o una trappola in cui cadere per essere arrestati? È ancora «un open end», spiega Ronald Leopold, direttore della House foundation Anna Frank, che un milione e trecentomila turisti visitano ogni anno. Oggi verranno usati metodi che non esistevano nel 1948, né nel 1963, anni in cui la polizia nazionale olandese ha provato ad indagare su quell’ultimo giorno. La novità della nuova ricerca è nel metodo, l’esame forense, e il risultato da raggiungere è una verità che l’agente americano ha promesso di ritrovare e rivelare proprio il 4 agosto 2019.

Due anni: per due anni Anna rimase in quella casa, di quei due anni sappiamo tutto, tranne come andò davvero il 4 agosto 1944, quando fu spedita a Bergen Belsen, nel campo di concentramento dove si crede sia morta nel febbraio del 1945, insieme ad alcuni dei 108mila ebrei deportati dal paese. Di loro 5500 circa, tornarono indietro.

Anna in Olanda è una questione nazionale oggi, proprio come lo fu dopo la liberazione. «Prima era la ragazza che proteggevamo, ora è la ragazza che abbiamo tradito, Anna è una percezione di come gli olandesi percepiscono se stessi durante l’occupazione» spiega il professore Bart Van Der Boom, Università di Leiden. Una percezione cambiata negli anni 60, quando gli olandesi sfidarono la narrativa dell’occupazione nazista, capendo che non erano stati solo “vittime” dei tedeschi, ma anche compartecipi, collaboratori dei nazisti.

Come Anna, nelle soffitte, nelle cantine, dentro qualsiasi cosa potesse contenerli, si sono nascosti 28mila ebrei per quattro lunghi anni e di loro un terzo fu arrestato, per colpa dei Jodenjagers, i cacciatori di ebrei. Chi ricorda tutto quello che è successo adesso? «Parte della storia è andata perduta con la sabbia del tempo» ha detto l’ex infiltrato americano dai capelli bianchi. Di crimini se ne commettono tanti ogni giorno, ma Vince, che è già in pensione, ha detto che «riaprire il caso, servirà a risvegliare la coscienza della gente, a far tornare le memorie dell’Olocausto che ho paura stiano scomparendo, in un’era di genocidi e atrocità».