L’aveva deciso il leader supremo dei Soviet, Nikita Krusciof. Dal vertice, l’ordine era passato di capo in vice, di vice in sottoposto, fino agli ultimi due ingegneri che l’avevano piazzata nella capsula dello Sputnik 2, il 3 novembre 1957. Gli scienziati sapevano che le stavano accarezzando la testa per l’ultima volta. Adilya Kotovskaya, la biologa russa che oggi la ricorda, quel giorno pianse per l’addio al cane e non per la vittoria sull’impero nemico a stelle e strisce a Washington. Laika era solo una randagia che vagava per le strade di Mosca. Sessant’anni fa, partiva per esplorare, prima terrestre al mondo, l’universo.
Dai cani di Putin usati per i calendari di propaganda e per agitare la Merkel ai summit internazionali, fino alle foto del Bo di Obama che lo hanno aiutato nella rielezione del secondo mandato, la pet politcs è stata usata, come tutto il resto, come un’arma fatta d’immagini dall’inizio della Guerra fredda.
Sessant’anni fa nel 1957, un razzo Semyorka sarebbe partito da Bainkonur alle 5:30 ora di Mosca, per spedire in orbita, in un viaggio di sola andata, un cane che doveva mostrare il primato della scienza sovietica al mondo. Tra Urss e Usa la corsa forsennata agli armamenti nucleari procedeva veloce solo come quella per la conquista dello spazio. Prima di Gagarin, prima ancora di Armstrong e della luna, c’è stata Laika: 3 anni, 6 kg, sesso femminile, fotogenica, come aveva richiesto il partito. Il suo vero nome, Kudrjavka, era troppo difficile da ricordare e troppo lungo per i francobolli ad honorem.
La radio sovietica dava aggiornamenti quotidiani sulla sua vita nello spazio e mentiva. Niente era andato come previsto, Laika finì per morire non con un’iniezione letale dopo otto giorni, ma per il surriscaldamento dello Sputnik. Nessuno sapeva come far tornare indietro l’icona sovietica che finì per avere statue per le stesse strade dove vagava senza cibo né padrone. È stato ammesso solo in seguito, dagli scienziati stessi, che quel lancio non fu né vantaggioso né necessario per la ricerca scientifica. Laika fu sacrificata per avere vantaggio psicologico sugli americani, ma ad altro, quell’esperimento, non fu utile. Molti altri cani sovietici furono spediti nello spazio. Gli americani preferivano fare esperimenti con scimmie e scimpanzé, invece i russi prediligevano i meticci per una ragione che superava tutte le altre: per le strade di Mosca ce n’erano troppi.
Tre anni dopo Laika, il 19 agosto 1960, altri due randagi fecero la storia. Si chiamavano Belka e Strelka. Anche loro finirono su manifesti di propaganda e cartoline. Nel marzo 1961 a fare la storia fu il primo uomo a viaggiare nello spazio, si chiamava Yuri Gagarin. A giugno dello stesso anno, due mesi dopo, per la prima volta John Kennedy e il premier sovietico Krusciov si incontrarono a Vienna. Parlarono del mondo lassù: dei cani che l’avevano visto, poi del mondo quaggiù e della crisi dei missili cubani. Il regalo presidenziale per i Kennedy quell’anno fu proprio un cane, di nome Pushinka. E fu l’inizio della distensione.
Secondo lo storico del Presidential Pet Museum della capitale americana, quel regalo fu l’inizio del cambiamento. «Mi piace pensare a Pushinka come parte del grande processo che affrontavamo per la crisi missilistica, una ragione per cui il presidente non ha ascoltato i falchi della Casa Bianca che volevano che bombardasse Mosca immediatamente».