Accende i riflettori su una figura di artista significativa e poco nota dell’astrattismo italiano del secondo Novecento la Fondazione Ragghianti, con questa retrospettiva dedicata a Mario Nigro: artista poliedrico e molto attento alle novità proposte dalla ricerca scientifica del suo tempo (prese due lauree di cui una in farmacia, per vivere). Nato a Pistoia esattamente cento anni fa si trasferì presto a Livorno.
Ma fu a lungo pittore isolato nella città labronica, attardata nella tradizione del paesaggismo macchiaiolo. In quel contesto provinciale la suo tendere verso l’arte astratta rappresentava un unicum. Emerge con chiarezza dalla mostra Mario Nigro gli spazi del colore interessata a tutti gli aspetti della sua ricerca. Che nei primi anni correva su due binari: da un lato la forza emotiva del colore (sulla strada aperta da Kandinsky), dall’altra il lavoro sulla linea traendo ispirazione da Mondrian. Dall’incontro fra questi due differenti e per molti versi opposti filoni nacque il suo originale astrattismo pittorico, ma anche la progettazione di ambienti punteggiati da steli policrome percorse da segni grafici.
[caption id="attachment_105848" align="alignleft" width="215"] Nigro untitled 1948[/caption]Iniziò così una suo percorso nell’ambito dello spazialismo, che interessò Lucio Fontana, tanto da presentarlo in Biennale. Fu invece un giovanissimo Luciano Fabro, docente all’Accademia di Brera, a segnalarlo all’attenzione delle generazioni più giovani. alla Fondazione Ragghianti a Lucca la mostra curata da Francesca Pola e Paolo Bolpagni (aperta fino al 7 gennaio) racconta Mario Nigro a partire dai lavori più geometrizzanti, come le sequenze di rombi, quadrati che dinamizzano lo spazio regalandogli ritmo e energia, fino alle realizzazioni più libere a pastello. Negli uni come negli altri Mario Nigro sembra voler rappresentare lo scorrere del tempo. Lo si capisce anche dal confronto messo in scena dai due curatori con le ossessive e fredde progressioni di Roman Opalka.
Altri lavori di Nigro dove è in gioco maggiormente la luce evocano quelli di Enrico Castellani (Nigro l’aveva conosciuto a Milano) con introflessioni e estroflessioni capaci di catturare e rilanciare la luce generando un raggio vivo e guizzante. La ricerca sulla luce e su libere alchimie dei colori caratterizzarono tutto il dopo guerra di Nigro quando il suo sguardo si rivolgeva con attenzione alla ricostruzione del Paese e al nuovo dinamismo sociale. Il terremoto dell’Irpinia del 1980 segnò una violenta cesura anche per lui: una serie di fratture percorrono tutti i quadri di quegli anni. Tornò ad acuirsi il senso di solitudine allora, da cui nell’ultima fase della sua vita seppe tuttavia far sgorgare fiotti di vivo colore.
Accende i riflettori su una figura di artista significativa e poco nota dell’astrattismo italiano del secondo Novecento la Fondazione Ragghianti, con questa retrospettiva dedicata a Mario Nigro: artista poliedrico e molto attento alle novità proposte dalla ricerca scientifica del suo tempo (prese due lauree di cui una in farmacia, per vivere). Nato a Pistoia esattamente cento anni fa si trasferì presto a Livorno.
Ma fu a lungo pittore isolato nella città labronica, attardata nella tradizione del paesaggismo macchiaiolo. In quel contesto provinciale la suo tendere verso l’arte astratta rappresentava un unicum. Emerge con chiarezza dalla mostra Mario Nigro gli spazi del colore interessata a tutti gli aspetti della sua ricerca. Che nei primi anni correva su due binari: da un lato la forza emotiva del colore (sulla strada aperta da Kandinsky), dall’altra il lavoro sulla linea traendo ispirazione da Mondrian. Dall’incontro fra questi due differenti e per molti versi opposti filoni nacque il suo originale astrattismo pittorico, ma anche la progettazione di ambienti punteggiati da steli policrome percorse da segni grafici.
Iniziò così una suo percorso nell’ambito dello spazialismo, che interessò Lucio Fontana, tanto da presentarlo in Biennale. Fu invece un giovanissimo Luciano Fabro, docente all’Accademia di Brera, a segnalarlo all’attenzione delle generazioni più giovani. alla Fondazione Ragghianti a Lucca la mostra curata da Francesca Pola e Paolo Bolpagni (aperta fino al 7 gennaio) racconta Mario Nigro a partire dai lavori più geometrizzanti, come le sequenze di rombi, quadrati che dinamizzano lo spazio regalandogli ritmo e energia, fino alle realizzazioni più libere a pastello. Negli uni come negli altri Mario Nigro sembra voler rappresentare lo scorrere del tempo. Lo si capisce anche dal confronto messo in scena dai due curatori con le ossessive e fredde progressioni di Roman Opalka.
Altri lavori di Nigro dove è in gioco maggiormente la luce evocano quelli di Enrico Castellani (Nigro l’aveva conosciuto a Milano) con introflessioni e estroflessioni capaci di catturare e rilanciare la luce generando un raggio vivo e guizzante. La ricerca sulla luce e su libere alchimie dei colori caratterizzarono tutto il dopo guerra di Nigro quando il suo sguardo si rivolgeva con attenzione alla ricostruzione del Paese e al nuovo dinamismo sociale. Il terremoto dell’Irpinia del 1980 segnò una violenta cesura anche per lui: una serie di fratture percorrono tutti i quadri di quegli anni. Tornò ad acuirsi il senso di solitudine allora, da cui nell’ultima fase della sua vita seppe tuttavia far sgorgare fiotti di vivo colore.