Sono passati 3 anni e mezzo da quando l’Unità è stata chiusa. Era il luglio del 2014. Fu il segretario del Pd, Matteo Renzi, che tramite suoi emissari fece in modo che ciò accadesse. Poi vennero nuovi editori da lui voluti, ma l’Unità non c’era più. Da come poi sono andate le cose si può immaginare che i nuovi editori non volevano veramente fare gli editori ma forse soltanto fare un piacere al segretario del Pd. Prima che si arrivasse alla fine credevo fermamente in quel progetto che mi stava consumando tantissime energie per i mille ostacoli che c’erano. Primo tra tutti Renzi. In una intervista a Tommaso Cerno del 15 novembre del 2013 lo dissi: Renzi non lo voterò mai. E il motivo era semplice: la sua banalizzazione della politica ad un concetto di “rottamazione” era una semplificazione copiata da Grillo e dal suo Vaffa day e non era politica. Non c’era nessuna idea di sviluppo della politica né tantomeno idee di sviluppo dell’economia del Paese. Una brava giornalista un giorno mi disse: “Renzi è un vincente, e uno che vuole vincere piace alla gente”.Vero, anzi verissimo. La gente, al contrario di quanto si pensa, in fondo è ottimista, e cerca persone che portino speranza e promessa di cambiamento. Chi vuole vincere porta una promessa di cambiamento perché quando si perde si resta dove si è. Nessuno è soddisfatto della condizione in cui si trova. Tutti vogliamo qualcosa di meglio dalla nostra vita e anche dal Paese in cui viviamo. La politica dovrebbe essere quella cosa che si occupa di crearlo quel cambiamento. Ma che cosa dovrebbe essere il cambiamento? Gli slogan della politica dovrebbero indicarlo qual è il cambiamento. Più sicurezza. Più lavoro. Più ricchezza. Più diritti. O anche meno politica. Meno immigrazione. Meno tasse. Parole con contenuti molto diversi tra loro. Sono veramente questi i cambiamenti che vuole “la gente”? Oppure andrebbe pensato che il cambiamento che tanto viene cercato altro non è che cercare una realizzazione personale? L’Unità per me doveva tornare alle origini pensate dal suo fondatore, Antonio Gramsci. “Dovrà essere un giornale di sinistra. Io propongo come titolo l’Unità, puro e semplice”. Non doveva essere un giornale di partito ma uno strumento per dare speranza ad un popolo abituato a vivere nella disperazione. Un redattore de l’Unità un giorno mi disse: “Ricordati: l’Unità è un simbolo enormemente più forte di quello che potrà mai essere il Pd”. Aveva perfettamente ragione. Per questo Renzi non poteva lasciarla in mano a me. Troppo pericoloso per la sua carriera politica e per il suo partito, il Pd. Da bravo democristiano mi propose di allearmi con lui. Non accettai. E allora l’Unità avrebbe chiuso. Meglio chiusa senza certezza sul futuro che in mano ad una persona lontana dal partito come me. Ebbe la faccia tosta di dichiararsi sorpreso dopo la chiusura, pur essendo stato lui a decidere come doveva andare l’assemblea del 29 luglio 2014. L’Unità ha sempre avuto il significato di unità della sinistra che in effetti a sinistra non c’è mai stata. Poveri ingenui, i politici di sinistra si sono sempre fatti abbindolare dall’alleanza al centro, pensando ad essa come l’unica possibilità di vincere. Il Pd non è altro che l’esito di questo lento processo iniziato nel dopoguerra. Io penso che non ci possano essere compromessi nel pensiero politico. Compromessi sulle cose pratiche, sulla politica, sono necessarie e auspicabili quando compatibili con le nostre idee. Ma mai compromessi sulle idee. Quelle devono rimanere salde e forti, senza incertezze di alcun tipo. Soprattutto mai farsi abbindolare da un pensiero che considera l’essere umano una realtà fatta di materia che viene animata da una non materialità di origine soprannaturale, e quindi senza alcun rapporto con la realtà. È necessario avere rapporto esatto con la realtà. E questo rapporto esatto comprenderà la certezza dell’esistenza di una realtà di pensiero non materiale che non è spirito venuto da chissà dove. La sinistra politica deve avere più coraggio. Si deve separare definitivamente dalla madre cattolica che la tiene ancora imprigionata in un’assurda pretesa di sapere cosa è il bene e cosa è il male dell’uomo. La madre cattiva non ha scrupoli. Deve solo affermare il proprio potere, non ha alcun interesse per gli altri e soprattutto non ha interesse che esista una sinistra che, nella misura in cui si realizzi, ne determinerebbe la scomparsa. Nel luglio 2014 Massimo Fagioli mi disse che la chiusura de l’Unità era la fine di Renzi. Come spesso accadeva, ho pensato che si sbagliasse. Ma lui come al solito aveva visto lungo. Aveva colto il significato più profondo della fine de l’Unità. L’Unità era un simbolo. La fine de l’Unità è la fine del Pd. Da quando, nel 2014, l’Unità è chiusa, il Pd non ha più vinto nessuna elezione e le prospettive per il futuro non sono rassicuranti. Ci sono voluti 3 anni e mezzo per arrivare qui dove siamo. Ora penso di poter dire che Left sta diventando il giornale che avrei voluto che fosse l’Unità. Un giornale che ha lo scopo di immaginare e pensare una sinistra unita. [su_divider text="In edicola " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale di Matteo Fago è tratto da Left in edicola

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Sono passati 3 anni e mezzo da quando l’Unità è stata chiusa. Era il luglio del 2014. Fu il segretario del Pd, Matteo Renzi, che tramite suoi emissari fece in modo che ciò accadesse. Poi vennero nuovi editori da lui voluti, ma l’Unità non c’era più. Da come poi sono andate le cose si può immaginare che i nuovi editori non volevano veramente fare gli editori ma forse soltanto fare un piacere al segretario del Pd. Prima che si arrivasse alla fine credevo fermamente in quel progetto che mi stava consumando tantissime energie per i mille ostacoli che c’erano. Primo tra tutti Renzi.

In una intervista a Tommaso Cerno del 15 novembre del 2013 lo dissi: Renzi non lo voterò mai. E il motivo era semplice: la sua banalizzazione della politica ad un concetto di “rottamazione” era una semplificazione copiata da Grillo e dal suo Vaffa day e non era politica. Non c’era nessuna idea di sviluppo della politica né tantomeno idee di sviluppo dell’economia del Paese. Una brava giornalista un giorno mi disse: “Renzi è un vincente, e uno che vuole vincere piace alla gente”.Vero, anzi verissimo. La gente, al contrario di quanto si pensa, in fondo è ottimista, e cerca persone che portino speranza e promessa di cambiamento. Chi vuole vincere porta una promessa di cambiamento perché quando si perde si resta dove si è. Nessuno è soddisfatto della condizione in cui si trova. Tutti vogliamo qualcosa di meglio dalla nostra vita e anche dal Paese in cui viviamo. La politica dovrebbe essere quella cosa che si occupa di crearlo quel cambiamento.

Ma che cosa dovrebbe essere il cambiamento? Gli slogan della politica dovrebbero indicarlo qual è il cambiamento. Più sicurezza. Più lavoro. Più ricchezza. Più diritti. O anche meno politica. Meno immigrazione. Meno tasse. Parole con contenuti molto diversi tra loro. Sono veramente questi i cambiamenti che vuole “la gente”? Oppure andrebbe pensato che il cambiamento che tanto viene cercato altro non è che cercare una realizzazione personale? L’Unità per me doveva tornare alle origini pensate dal suo fondatore, Antonio Gramsci. “Dovrà essere un giornale di sinistra. Io propongo come titolo l’Unità, puro e semplice”. Non doveva essere un giornale di partito ma uno strumento per dare speranza ad un popolo abituato a vivere nella disperazione. Un redattore de l’Unità un giorno mi disse: “Ricordati: l’Unità è un simbolo enormemente più forte di quello che potrà mai essere il Pd”.

Aveva perfettamente ragione. Per questo Renzi non poteva lasciarla in mano a me. Troppo pericoloso per la sua carriera politica e per il suo partito, il Pd. Da bravo democristiano mi propose di allearmi con lui. Non accettai. E allora l’Unità avrebbe chiuso. Meglio chiusa senza certezza sul futuro che in mano ad una persona lontana dal partito come me. Ebbe la faccia tosta di dichiararsi sorpreso dopo la chiusura, pur essendo stato lui a decidere come doveva andare l’assemblea del 29 luglio 2014. L’Unità ha sempre avuto il significato di unità della sinistra che in effetti a sinistra non c’è mai stata. Poveri ingenui, i politici di sinistra si sono sempre fatti abbindolare dall’alleanza al centro, pensando ad essa come l’unica possibilità di vincere. Il Pd non è altro che l’esito di questo lento processo iniziato nel dopoguerra. Io penso che non ci possano essere compromessi nel pensiero politico. Compromessi sulle cose pratiche, sulla politica, sono necessarie e auspicabili quando compatibili con le nostre idee. Ma mai compromessi sulle idee. Quelle devono rimanere salde e forti, senza incertezze di alcun tipo.

Soprattutto mai farsi abbindolare da un pensiero che considera l’essere umano una realtà fatta di materia che viene animata da una non materialità di origine soprannaturale, e quindi senza alcun rapporto con la realtà. È necessario avere rapporto esatto con la realtà. E questo rapporto esatto comprenderà la certezza dell’esistenza di una realtà di pensiero non materiale che non è spirito venuto da chissà dove. La sinistra politica deve avere più coraggio. Si deve separare definitivamente dalla madre cattolica che la tiene ancora imprigionata in un’assurda pretesa di sapere cosa è il bene e cosa è il male dell’uomo. La madre cattiva non ha scrupoli. Deve solo affermare il proprio potere, non ha alcun interesse per gli altri e soprattutto non ha interesse che esista una sinistra che, nella misura in cui si realizzi, ne determinerebbe la scomparsa. Nel luglio 2014 Massimo Fagioli mi disse che la chiusura de l’Unità era la fine di Renzi. Come spesso accadeva, ho pensato che si sbagliasse. Ma lui come al solito aveva visto lungo. Aveva colto il significato più profondo della fine de l’Unità.

L’Unità era un simbolo. La fine de l’Unità è la fine del Pd. Da quando, nel 2014, l’Unità è chiusa, il Pd non ha più vinto nessuna elezione e le prospettive per il futuro non sono rassicuranti. Ci sono voluti 3 anni e mezzo per arrivare qui dove siamo. Ora penso di poter dire che Left sta diventando il giornale che avrei voluto che fosse l’Unità.

Un giornale che ha lo scopo di immaginare e pensare una sinistra unita.

L’editoriale di Matteo Fago è tratto da Left in edicola


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