Il ristorante Gustamundo sta sperimentando una particolare forma di integrazione: a tavola. A cucinare migranti esperti che poi incontrano i clienti e spiegano le loro ricette originali. Il ricavato delle cene solidali a Baobab Experience.

Si può fare integrazione partendo dal cibo? Ci si può provare. Magari aprendo la cucina del proprio ristorante a migranti o rifugiati per fargli preparare piatti tipici della loro tradizione. Lasciandogli poi la possibilità di raccontare quei sapori ai clienti. Di parlare delle proprie storie personali e dei Paesi dove quelle storie (e quelle persone) sono nate. Chi avrà avuto la curiosità di assaggiare e ascoltare avrà iniziato a scoprire qualcosa di diverso. Per chi ha cucinato invece ci sarà prima di tutto la sensazione di essersi espresso attraverso il proprio lavoro perché, magari, il migrante o rifugiato in questione era un cuoco prima di essere costretto a intraprendere un lungo, difficile e spesso doloroso viaggio. Andando sul concreto, questo è ciò che succede con le cene solidali organizzate dal ristorante romano Gustamundo (zona Valle Aurelia). Appuntamenti di cucina etnica (principalmente etiope, eritrea, siriana, libica, iraniana e sudamericana), solidali perché a cucinare sono appunto migranti provenienti da questi Paesi nei quali, prima di partire, lavoravano come cuochi. O cucinavano molto bene.
L’idea è venuta al proprietario del locale, Pasquale Compagnone, che confida come di base ci sia la volontà di «far emergere le professionalità di questi migranti e dargli un’opportunità». Un progetto nato circa un anno fa perché «vedevo un vero accanimento contro i migranti, per me assurdo. Pensai a come aiutarli con quello che avevo a disposizione e venne l’idea delle cene. Mi rivolsi a loro in quanto persone che in questo momento, nella migliore delle ipotesi, sono ferme in strutture di accoglienza». Il primo passo fu quindi quello di contattare una lunga lista di associazioni romane che si occupano di accoglienza, chiedendo loro se ci fossero cuochi o persone brave in cucina. Per dargli, se non proprio un’occupazione stabile, almeno un’occasione di uscire per lavorare, essere regolarmente retribuiti e farsi conoscere. Senza contare poi le implicazioni più profonde a livello umano che una possibilità del genere può comportare per chi attualmente, come i migranti, vive una quotidianità durissima. Una volta individuati i “cuochi” sono partite le cene. Solidali anche perché hanno finanziato, oltre a vari progetti di integrazione, anche associazioni come Baobab Experience, il presidio di prima accoglienza per migranti transitanti e richiedenti asilo gestito da volontari, dalla loro straordinaria capacità di fare rete con cittadinanza e realtà sociali nonché dalla tenacia nel portare avanti un’idea di accoglienza senza se e senza ma. «Baobab è l’unica realtà che abbiamo sostenuto direttamente, devolvendo all’associazione tutto l’incasso delle cene organizzate con loro e con i loro cuochi. Nel piazzale ci sono situazioni molto complesse. Ogni martedì facciamo recapitare al presidio 400 litri d’acqua. Cerchiamo di sostenerli il più possibile». Cene solidali dove, oltre ad assaggiare piatti pakistani, africani, siriani, si raccontano storie. “Ogni cena una storia” recita il menù degli appuntamenti (tantissimi) di novembre, e la storia in questione è quella di chi ha cucinato. Il momento più significativo c’è infatti a fine pasto, quando i cuochi vengono invitati in sala per raccontare i loro piatti e rispondere alle curiosità dei clienti sulla preparazione e sugli ingredienti usati. Ma soprattutto, se ne hanno voglia, i ragazzi raccontano le loro vicende e quelle del proprio paese. Capita così che Remedan Mussa Yusuf, 35 anni di origine etiope, spieghi nel dettaglio il procedimento usato per preparare injera, cous cous e carne con verdure. E che la sua emozione nel parlare svanisca man mano che il racconto procede, ripercorrendo poi parte di quella storia che lo ha visto scappare dal suo Paese 10 anni fa dopo essere stato incarcerato per aver protestato contro il governo. E che, dopo aver girato l’Europa, lo vede ora da circa un anno in Italia, con la voglia di scrivere un libro per raccontare la sua vicenda. «È quello il momento dell’integrazione» racconta Pasquale. È quello il momento in cui, entrando in contatto con una realtà diversa attraverso le parole, i gesti e gli sguardi delle persone in questione, ci si avvicina a loro. E loro, di rimando, hanno la possibilità di sentirsi più vicine a noi.
Un’esperienza che non può che fare bene nonostante non sia una situazione stabile. Il lavoro che Pasquale offre a questi ragazzi è retribuito ma occasionale. Il ristorante, nato come messicano e con una saletta riservata ora solo all’esperienza delle cene solidali, è piccolo. Le difficoltà ci sono, a partire dalla lingua (a volte serve un mediatore o un interprete) e dal diverso livello di professionalità dei migranti coinvolti, ma se la domanda iniziale era “si può fare integrazione attraverso la cucina” la risposta è sì, come testimoniato anche dai tanti messaggi di ringraziamento ricevuti da Pasquale e dalla felicità tangibile dei “cuochi” al ritorno nei centri di accoglienza. Un’integrazione che si prova a fare anche tra migranti e migranti, coinvolgendo nella stessa cena persone di diversa provenienza senza tralasciare l’aspetto della formazione. Nella cucina di Gustamundo infatti si insegnano ai migranti tecniche di cucina italiana e tutto ciò che può essergli utile per colloqui futuri. Puntando a sviluppare quella professionalità che, in alcuni casi, è già di buon livello. «Alcuni piatti hanno sorpreso anche me – ha raccontato Pasquale – a cominciare dalla lavorazione della carne d’agnello da parte di una signora algerina, per proseguire con pietanze del Gambia, della Mauritania, della Nigeria, della Somalia. La cucina africana ha una grande ricchezza di sapori e gusto ma è poco conosciuta. Bisogna avere invece fiducia nelle persone che cucinano e coraggio e curiosità nell’osare e provare piatti nuovi».
Novità che sono in arrivo anche per Gustamundo. A novembre infatti ci sarà la possibilità per alcuni tra i cuochi migranti più bravi di lavorare nella preparazione del catering per diversi eventi, il più importante dei quali sarà il 25 novembre alla European University di Roma che ospiterà un Congresso dell’Unesco. Con i pasti affidati a Gustamundo e agli artefici delle cene solidali. Senza dimenticare un progetto che si sta concretizzando in questi giorni e che, se andrà a buon fine, vedrà l’esperienza di Gustamundo legarsi ad un’altra attività di integrazione a Roma, realizzata però su un “campo” diverso. «Sempre a novembre – conclude Pasquale – dovremmo realizzare un catering per Liberi Nantes (la squadra di calcio composta da migranti) e l’idea è quella di essere loro sponsor, preparandogli pasti per tutta la stagione e intervenendo anche in altri eventi. Loro fanno integrazione con lo sport, noi con la cucina». Ognuno ha il proprio campo d’azione, ma l’obiettivo è e resta quello di avvicinarsi a queste persone, lasciando che loro si avvicinino a noi.