Il Med film festival si avvia al gran finale  venerdì 17 novembre con la premiazione dell'edizione 2017  e la proiezione di 120 battiti al minuto di di #RobinCampillo al cinema Savoy di Roma, eccezionalmente in versione originale con sottotitoli in italiano. Sceneggiatore di A tempo pieno e La classe di Laurent Cantet,  Campillo  ha vinto con questo film  il Grand Prix du Jury all’ultimo Festival di Cannes ed è stato selezionato per rappresentare la Francia agli Oscar 2018 come miglior film in lingua straniera. La vicenda trae spunto dai ricordi del regista ventenne, nella Parigi degli anni Novanta, la sua militanza politica, la paura di contrarre L’Aids, il dolore nel veder soccombere alla malattia amici della comunità gay, e mette in scena l’esperienza del collettivo Act up e le conflittuali sedute assembleari, per decidere la strategia di lotta contro le società farmaceutiche, che controllavano l’immissione sul mercato di prodotti, che avrebbero potuto migliorare le condizioni di vita di chi era affetto dal virus dell’Hiv. I farmaci erano un’opportunità per rallentarne il decorso, ma non per fermarlo. Nell’orizzonte di questa consapevolezza, lo scenario si apre sui discorsi di questi ragazzi e ragazze giovanissimi, belli, vitali; sui loro sguardi determinati, inquieti, dolenti; sulla loro ribellione inventiva contro il silenzio, che ne fagocita la tragedia personale e ne zittisce il dramma sociale. Li vediamo fare irruzione negli uffici, imbrattando il bianco delle pareti con sacche di sangue finto; scendere in strada per informare le persone sui rischi e i modi del contagio; interrompere le lezioni nelle scuole, per consegnare condom e sensibilizzare i coetanei; richiamare il governo alle sue responsabilità nella prevenzione della malattia. Sit-in, proteste, cortei, discussioni: la vita politica si intreccia alla vicenda privata e sentimentale del protagonista sieropositivo, Sean (un convincente Nahuel Pérez Biscayart), e alla sua relazione con un giovane sostenitore del movimento, che non ha contratto il virus. Sebbene il film sia più toccante quando indaga la sfera degli affetti, resta comunque corale, se non proprio polifonico, coerentemente con l’assunto di partenza. Malgrado alcune lunghezze nelle scene di confronto ideologico, colpiscono le serate al ritmo house-music e le trascinanti accelerazioni dei gesti eversivi, che, gettando il cuore oltre l’ostacolo, sfidano indifferenza, ambiguità della morale cattolico-borghese, idee pregiudiziali su una malattia spacciata come colpa e punizione. Stile raffinato, mai incline al patetismo, nel raccontare intimità, lacerazioni e solidarietà del gruppo. L’efficace montaggio delle sequenze in discoteca e del fiume rosso, scandite dal falsetto e gli acuti di Jimmy Sommerville, e le scene di sesso, prive di compiacimento estetizzante - diversamente dal pur bello La Vie d’Adèle - fanno volare alto il film e mettono in moto una tensione dolorosa, nel comunicare l’angoscia per il deterioramento fisico e la disperata urgenza di aggrapparsi alla concretezza del corpo e della vita. Il Med film festival diretto da Ginella Vocca assegna venerdì 17 il premio Amore e psiche per i lungometraggi. A partire dalle 20 al Cinema Savoy di via Bergamo a Roma, l'annuncio dei premiati nelle vari sezioni , lungometraggio, corti, e documentari e a seguire la proiezione di 120 battiti al minuto.  Il finale di questa edizione dedicata allo sguardo delle registe e delle attrici che fanno grande il cinema del Mediterraneo è previsto per sabato 18 al Macro con la proiezione di spot contro la violenza sulle donne

Il Med film festival si avvia al gran finale  venerdì 17 novembre con la premiazione dell’edizione 2017  e la proiezione di 120 battiti al minuto di di #RobinCampillo al cinema Savoy di Roma, eccezionalmente in versione originale con sottotitoli in italiano. Sceneggiatore di A tempo pieno e La classe di Laurent Cantet,  Campillo  ha vinto con questo film  il Grand Prix du Jury all’ultimo Festival di Cannes ed è stato selezionato per rappresentare la Francia agli Oscar 2018 come miglior film in lingua straniera. La vicenda trae spunto dai ricordi del regista ventenne, nella Parigi degli anni Novanta, la sua militanza politica, la paura di contrarre L’Aids, il dolore nel veder soccombere alla malattia amici della comunità gay, e mette in scena l’esperienza del collettivo Act up e le conflittuali sedute assembleari, per decidere la strategia di lotta contro le società farmaceutiche, che controllavano l’immissione sul mercato di prodotti, che avrebbero potuto migliorare le condizioni di vita di chi era affetto dal virus dell’Hiv. I farmaci erano un’opportunità per rallentarne il decorso, ma non per fermarlo. Nell’orizzonte di questa consapevolezza, lo scenario si apre sui discorsi di questi ragazzi e ragazze giovanissimi, belli, vitali; sui loro sguardi determinati, inquieti, dolenti; sulla loro ribellione inventiva contro il silenzio, che ne fagocita la tragedia personale e ne zittisce il dramma sociale. Li vediamo fare irruzione negli uffici, imbrattando il bianco delle pareti con sacche di sangue finto; scendere in strada per informare le persone sui rischi e i modi del contagio; interrompere le lezioni nelle scuole, per consegnare condom e sensibilizzare i coetanei; richiamare il governo alle sue responsabilità nella prevenzione della malattia. Sit-in, proteste, cortei, discussioni: la vita politica si intreccia alla vicenda privata e sentimentale del protagonista sieropositivo, Sean (un convincente Nahuel Pérez Biscayart), e alla sua relazione con un giovane sostenitore del movimento, che non ha contratto il virus. Sebbene il film sia più toccante quando indaga la sfera degli affetti, resta comunque corale, se non proprio polifonico, coerentemente con l’assunto di partenza. Malgrado alcune lunghezze nelle scene di confronto ideologico, colpiscono le serate al ritmo house-music e le trascinanti accelerazioni dei gesti eversivi, che, gettando il cuore oltre l’ostacolo, sfidano indifferenza, ambiguità della morale cattolico-borghese, idee pregiudiziali su una malattia spacciata come colpa e punizione. Stile raffinato, mai incline al patetismo, nel raccontare intimità, lacerazioni e solidarietà del gruppo. L’efficace montaggio delle sequenze in discoteca e del fiume rosso, scandite dal falsetto e gli acuti di Jimmy Sommerville, e le scene di sesso, prive di compiacimento estetizzante – diversamente dal pur bello La Vie d’Adèle – fanno volare alto il film e mettono in moto una tensione dolorosa, nel comunicare l’angoscia per il deterioramento fisico e la disperata urgenza di aggrapparsi alla concretezza del corpo e della vita.

Il Med film festival diretto da Ginella Vocca assegna venerdì 17 il premio Amore e psiche per i lungometraggi. A partire dalle 20 al Cinema Savoy di via Bergamo a Roma, l’annuncio dei premiati nelle vari sezioni , lungometraggio, corti, e documentari e a seguire la proiezione di 120 battiti al minuto.  Il finale di questa edizione dedicata allo sguardo delle registe e delle attrici che fanno grande il cinema del Mediterraneo è previsto per sabato 18 al Macro con la proiezione di spot contro la violenza sulle donne