Quando muoiono diventano tutti buoni. Tutti. Quando muore un uomo di mafia come Riina, con un curriculum di morti ammazzati che fa spavento e che include alcuni degli uomini migliori della storia di questo Paese allora diventa lo slancio per dare a lui tutta la ferocia che ci siamo trattenuti per quelli che se ne sono andati e non abbiamo mai avuto voglia di scrivere cosa ne pensavamo davvero.
È morto Riina e tutto il Paese, anche oggi, ha il suo rito quotidiano di ferocia collettiva: oggi è un “liberi tutti” per scrivere tutta la bile e lanciare la macabra danza dello sputo sul cadavere.
Eppure la ferocia contro Riina non ci renderà migliori. No. Non servirà alla battaglia antimafia, che invece ha bisogno di sprezzo e sdegno e denuncia contro quelli che sono vivi; non servirà a scardinare i poteri e la politica che con Riina hanno trovato un ottimo (e omertoso) sacchetto dell’umido in cui deviare l’indignazione che sarebbe andata a loro; non servirà al processo di sgretolamento del falso mito, che ne esce rinforzato da un Paese intero che esulta per la sua morte; non sarà utile alla verità e alla Storia che avrà gioco facile nel far credere che con Riina muore una mafia che invece è vivissima, molto più urbana e che si è disfatta di Riina ‘ù Curtu quando ha intrapreso la via della sommersione e della cautela.
Per carità: è morto un miserabile, vero. Uno di quelli che è riuscito a incarnare perfettamente tutti gli spigoli peggiori di Cosa Nostra: sanguinario, in guerra con lo Stato, nemico della verità, assetato di potere, violento, corrotto e corruttore, prepotente e fiero della propria criminalità. Ma ognuna delle caratteristiche di cui superficialmente potremmo pensare di esserci liberati con la sua morte ha una faccia e un nome che non è Riina e molti dei suoi tentacoli oggi si esibiranno nel fiume di ferocia vendicativa.
E invece con la morte di Riina se n’è andata, ancora una volta, un pezzo di verità e di giustizia. E non sarà la ferocia a riempire questa fame. Non basterà.
Buon venerdì.