Il tribunale penale internazionale dell’Aja per i crimini nella ex Jugoslavia (Tpi) ha condannato all’ergastolo, in primo grado, l’ex generale Ratko Mladic, ex comandante dell’esercito serbo bosniaco, per genocidio e crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati durante la guerra in Bosnia (1992-95).
Il martello dei giudici che ha condannato all’ergastolo il boia di Srebrenica ha atteso 22 anni per battere. Dopo quattro anni e mezzo di udienze e trecento testimoni ascoltati, al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja hanno pronunciato la sentenza di primo grado a carico del generale serbo Ratko Mladic, accusato di genocidio e crimini contro l’umanità. È l’ultima parola della storia: così, dicono, finiranno le guerre balcaniche.
Mladic non si è mai pentito. Ha sempre ripetuto la stessa frase: «Ho difeso il mio paese». Al processo voleva presentarsi con la sua uniforme con le stelle sulle spalle, come quando comandava la sua unità di paramilitari, gli Skorpioni. Le madri dei morti del massacro di Srebrenica saranno, come sempre, dietro al vetro a vedere quale l’espressione comparirà sul volto di quello che era lo spietato comandante serbo bosniaco ed è oggi un vecchio stordito. Mladic ha metà del corpo paralizzato, lo sguardo svuotato da 16 anni di latitanza e 3 ictus.
Oggi a volte passeggia nelle ore di luce nel corridoio della sua cella, ieri era alla guida del nono corpo d’armata jugoslavo contro i croati, poi al comando del secondo distretto militare a Sarajevo. Mladic diventò comandante dell’esercito serbo di Bosnia nel 1992.
Durante i 44 mesi d’assedio di Sarajevo, l’11 luglio 1995, i suoi uomini presero il controllo di Srebrenica e l’ufficiale scelto da Karazic, il temuto Mladic, ordinò di prendere in ostaggio 200 caschi blu, prima di procedere al massacro di 8mila musulmani. Alain Tieger, prima della rogatoria finale all’Aja, ha detto che le stragi di civili e «la pulizia etnica non erano conseguenza della guerra, ma il suo obiettivo. Qualsiasi pena che non sia la prigione a vita è un insulto alle vittime, vive o morte, e un affronto alla giustizia».
Milosevic è morto nel 2006 nella sua cella senza sentenza e ora i giudici hanno condannato Mladic, 74 anni, prima che lo faccia il tempo. I suoi avvocati, che hanno tentato di evitare il processo con 11 capi d’imputazione, tra cui deportazione, genocidio, persecuzione, crimini contro l’umanità, dicono che il vecchio generale condannato all’ergastolo, non ha più le capacità per capire cosa stia succedendo. Non si rende più conto di cosa ha intorno. Per dimostrarlo hanno mostrato le immagini delle risonanze magnetiche, ma l’Aja ha deciso di non fermarsi.
Se in Bosnia Mladic è sinonimo di genocidio, in Serbia lo è ancora di liberazione. Se a Sarajevo la sua faccia incarna per antonomasia le atrocità del conflitto, per le strade di Belgrado è ancora l’icona simbolo della resistenza serba. Ana Brnabic, premier serba, ha detto che «il tribunale dell’Aja contribuisce solo al peggiorare della situazione e non è mai stato imparziale verso tutti i lati del conflitto dall’inizio». È tempo di giustizia dal lato musulmano, di senso di sopraffazione da quello slavo. «Un processo non può condurre alla pace, questo può accadere solo se è iniziativa della società civile». Vladimir Vukcevic, prosecutore che ha arrestato Mladic nel 2011 dopo la sua fuga durata oltre 15 anni, dice che «ogni nazione ha ancora la sua personale versione della verità, finché sarà così, non ci sarà riconciliazione».
Il tribunale che ha assicurato alla giustizia 161 autori dei massacri più atroci dalla Seconda Mondiale, per la guerra che ha ucciso più di 100mila persone in tre anni, chiuderà i battenti a dicembre dopo 24 anni. Forse così le guerre deo Balcani saranno finite davvero.
Articolo aggiornato il 22 novembre 2017 alle 12:25