Lo dicono i dossier dei servizi segreti americani che indagano sull'influenza russa alle ultime elezioni Usa 2016: lo scopo dei russi era fomentare i dibattiti, destabilizzare la democrazia, manipolare il paese, produrre fake news. La “strategia del caos” dell’Internet research agency di San Pietroburgo, l'Ira, conosciuta sulla stampa come “fabbrica dei troll”, era accuratamente pianificata per i 35 milioni di visitatori al mese. Essere contro la sodomia, per l'indipendenza del Texas, generava traffico; parlare a favore delle armi e contro le tasse agganciava followers. Per farlo i russi, dice il giornale Rbc, avrebbero pagato anche attivisti americani: 80mila dollari in due anni, compresi 16 gruppi legati al movimento Black lives matter. La missione non era influenzare il voto, ma l'intera America. Nell'edificio 55 di via Savouchina, a Pietroburgo, aggiornavano i loro profili Facebook e Twitter persone che non esistevano. Ora che la premier May ha stanziato 100 milioni di sterline per la contro-propaganda e il Congresso americano 60 milioni di dollari, l'Ira ha chiuso i battenti, e si indaga sul suo proprietario, il “cuoco di Putin”, che pochi conoscono col suo nome vero, Evgeny Viktorovich Prigozhin. Il dipartimento del Tesoro Usa lo ha sanzionato personalmente un anno fa. Poi ha sanzionato le sue società. Lo chef del caviale e dei troll è diventato milionario con la ristorazione. Ma più che cibo, dice la Cia, ha cucinato anche le elezioni di Trump. Evgeny, 56 anni, a 20 anni è finito in carcere per frode e prostituzione minorile. Dopo le sbarre, negli anni 90, col crollo dell'Urss, è entrato nel circolo degli uomini di Pietroburgo. Se Putin è figlio del Kgb, lui è padre dell'azienda che fonda, la Concord. I due si conoscono quando il presidente era il consigliere per gli investimenti stranieri del sindaco di Pietroburgo, i patti tra imprenditori, dopo che sono diventati amici, avverranno sempre tra le mura del suo ristorante. Lo stesso Evgeny ha accolto nel 2001 Putin e Jacques Chirac “a bordo” di uno della sua dozzina di ristoranti di lusso a Pietroburgo, quello galleggiante sul battello New Island, dove l'anno successivo si è seduto a mangiare anche il presidente George Bush. In una foto di luglio 2002, Putin guarda Evgeny che guarda Bush, che sta guardando nel vuoto, mentre il bilionario gli mostra una bottiglia. Davanti a loro candele e bicchieri di cristallo su un tavolo nero lucido. Nel 2010 vince l'appalto per rifornire le mense scolastiche russe, nel 2012 il cuoco del presidente ne nutre anche l’esercito: vince infatti la gara per sfamare l'enorme serbatoio di soldati della Federazione. Affare stimato? Un miliardo e 400mila dollari. Da San Pietroburgo al Donbass, fino alla Siria. Dai camerieri ai troll fino ai soldati: Prigozhin ne avrebbe trovati 5mila, pagandoli 4mila dollari al mese, da spedire nelle guerre al confine ucraino e poi quello siriano a Palmira, per difendere i pozzi petroliferi, su cui ha guadagnato il 25% dei proventi per ogni territorio strappato all’Isis, con la società Evropolis. Per ogni vento di guerra insomma, su internet o sul campo, il cuoco del presidente ha saputo sempre cosa servire, cosa era necessario, all'occorrenza: cibo, soldati o fake news.

Lo dicono i dossier dei servizi segreti americani che indagano sull’influenza russa alle ultime elezioni Usa 2016: lo scopo dei russi era fomentare i dibattiti, destabilizzare la democrazia, manipolare il paese, produrre fake news. La “strategia del caos” dell’Internet research agency di San Pietroburgo, l’Ira, conosciuta sulla stampa come “fabbrica dei troll”, era accuratamente pianificata per i 35 milioni di visitatori al mese. Essere contro la sodomia, per l’indipendenza del Texas, generava traffico; parlare a favore delle armi e contro le tasse agganciava followers.

Per farlo i russi, dice il giornale Rbc, avrebbero pagato anche attivisti americani: 80mila dollari in due anni, compresi 16 gruppi legati al movimento Black lives matter. La missione non era influenzare il voto, ma l’intera America. Nell’edificio 55 di via Savouchina, a Pietroburgo, aggiornavano i loro profili Facebook e Twitter persone che non esistevano. Ora che la premier May ha stanziato 100 milioni di sterline per la contro-propaganda e il Congresso americano 60 milioni di dollari, l’Ira ha chiuso i battenti, e si indaga sul suo proprietario, il “cuoco di Putin”, che pochi conoscono col suo nome vero, Evgeny Viktorovich Prigozhin.

Il dipartimento del Tesoro Usa lo ha sanzionato personalmente un anno fa. Poi ha sanzionato le sue società. Lo chef del caviale e dei troll è diventato milionario con la ristorazione. Ma più che cibo, dice la Cia, ha cucinato anche le elezioni di Trump.

Evgeny, 56 anni, a 20 anni è finito in carcere per frode e prostituzione minorile. Dopo le sbarre, negli anni 90, col crollo dell’Urss, è entrato nel circolo degli uomini di Pietroburgo. Se Putin è figlio del Kgb, lui è padre dell’azienda che fonda, la Concord. I due si conoscono quando il presidente era il consigliere per gli investimenti stranieri del sindaco di Pietroburgo, i patti tra imprenditori, dopo che sono diventati amici, avverranno sempre tra le mura del suo ristorante.

Lo stesso Evgeny ha accolto nel 2001 Putin e Jacques Chirac “a bordo” di uno della sua dozzina di ristoranti di lusso a Pietroburgo, quello galleggiante sul battello New Island, dove l’anno successivo si è seduto a mangiare anche il presidente George Bush. In una foto di luglio 2002, Putin guarda Evgeny che guarda Bush, che sta guardando nel vuoto, mentre il bilionario gli mostra una bottiglia. Davanti a loro candele e bicchieri di cristallo su un tavolo nero lucido. Nel 2010 vince l’appalto per rifornire le mense scolastiche russe, nel 2012 il cuoco del presidente ne nutre anche l’esercito: vince infatti la gara per sfamare l’enorme serbatoio di soldati della Federazione. Affare stimato? Un miliardo e 400mila dollari.

Da San Pietroburgo al Donbass, fino alla Siria. Dai camerieri ai troll fino ai soldati: Prigozhin ne avrebbe trovati 5mila, pagandoli 4mila dollari al mese, da spedire nelle guerre al confine ucraino e poi quello siriano a Palmira, per difendere i pozzi petroliferi, su cui ha guadagnato il 25% dei proventi per ogni territorio strappato all’Isis, con la società Evropolis.

Per ogni vento di guerra insomma, su internet o sul campo, il cuoco del presidente ha saputo sempre cosa servire, cosa era necessario, all’occorrenza: cibo, soldati o fake news.