Al Quadraro alla scoperta di una biblioteca nata dal lavoro di una associazione culturale che si occupa dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo

Nel cuore di uno dei quartieri romani simbolo della resistenza partigiana, denominato anche “Nido di vespe”, per il disprezzo nutrito, dalle genti del posto, per i tedeschi, che il 17 aprile 1944 misero in atto il nefando rastrellamento, quel coraggio di allora e quell’identità sana refrattaria all’idea nazista, sono ancora oggi simbolo di una comunità viva e fiera, ma anche luogo dove pullula un certo fermento culturale. Il Quadraro è territorio di accoglienza, di incontro di culture, ambiente di scambio, atteso l’alto numero di stranieri che qui ha scelto di vivere o aprire attività commerciali.

Tra le varie realtà anche una biblioteca, espressione di una associazione culturale che si occupa dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo, denominata per l’esattezza “Cittadini del mondo”. Dal settembre 2002, inizia il percorso nella difesa dei diritti dei migranti e degli stranieri presenti sul territorio. L’idea fu di un uomo, di cui oggi non si ha più notizia, poi supportata da altri volontari, sempre più numerosi nel tempo. Con il desiderio di di vivere insieme ai migranti senza farli sentire ospiti, ma parte integrante di una società. Perché le persone, come dice Paolo Guerra, uno dei tanti attuali volontari dell’associazione, non devono integrarsi forzatamente, ma convivere. Le persone del quartiere, o di quelli limitrofi, che iniziano a guardarsi intorno, a capire che c’è un fenomeno, come quello della presenza di immigrati da gestire, sono molti.

Tra loro, sempre agli inizi del nuovo millennio, anche un medico chirurgo, specialista in medicina interna con indirizzo immuno-ematologico, che lavorava a La Sapienza: Donatella D’Angelo. Con lei, che è la presidente dell’associazione, mi ritrovo a parlare, nei locali dove sta sorgendo la nuova biblioteca di “Cittadini del mondo” ossia nei piani seminterrati della scuola primaria “Damiano Chiesa”, in viale Opita Oppio n. 45, che da anni giacevano in stato di totale abbandono. Per raggiungere Donatella, e tutti gli altri volontari, che in questi giorni stanno ultimando i lavori di ristrutturazione, mi lascio alle spalle il buio di un pomeriggio di autunno per immergermi in un luogo pieno di luce, reso particolare dalle pareti azzurre composte da tante mattonelle, ex refettorio della scuola. Se un tempo queste erano, anche, le vie per sfuggire alle furie naziste, oggi ritrovarsi in questa sorta di acquario fa bene alla mente, ma soprattutto al cuore.

Un sottoterra pieno di libri e buoni propositi, tenendo sempre a mente l’obiettivo della realizzazione di contesti di riparo dall’ignoranza, dal razzismo, da ogni forma di discriminazione. Donatella racconta, con passione, come si è arrivati fino a oggi, partendo da un’altra emergenza, quella sanitaria. L’associazione ha, infatti, all’attivo lo sportello socio-sanitario a “Selam Palace”, ubicato nel palazzo di via Cavaglieri n. 8, abitato da 800 persone titolari di protezione internazionale del Corno d’Africa, dove lei e alcuni volontari effettuano un intervento socio sanitario, garantendo le cure sanitarie necessarie e le vaccinazioni contro i virus influenzali, ma anche l’iscrizione al medico di base.

«Nel 2002 – inizia a raccontare la dott.ssa D’Angelo – abbiamo cominciato a lavorare con i migranti. Siamo partiti con l’intenzione di lavorare con la migrazione che stava prendendo piede. Abbiamo notato che dentro ai palazzi occupati, a Roma ce ne erano molti, la percentuale dei migranti era importante. Abbiamo iniziato a fare uno sportello all’interno di un appartamento di uno dei palazzi. Hanno chiamato me, io ho deciso di lasciare la vita di reparto, anche se sono rimasta in contratto con l’università, ma ho iniziato a interessarmi della realtà sanitaria dei migranti; ho cominciato a informarmi di quello che faceva l’Italia per il diritto alla salute e si è aperto un mondo. Ho scoperto che tutti, compreso il migrante, abbiamo il diritto alla salute: la legge c’era, ma non veniva applicata».

Da quel momento, Donatella si rende conto che, effettivamente, tutti i migranti che incontrava, in realtà, non avevano accesso alle cure: «Abbiamo iniziato ad andare a parlare con i dirigenti delle Asl ed è nato in breve tempo uno sportello, che doveva servire agli stranieri temporaneamente presenti sul territorio italiano. Tutti gli stranieri erano migranti economici, quindi avevano residenza, un lavoro, avevano diritto all’iscrizione al sistema sanitario». Anche se la situazione non sembrava critica, almeno agli occhi delle istituzioni italiane, Donatella non si scoraggia e va avanti: «A quel punto, abbiamo lanciato una sfida, facendo notare alla Asl che loro avevano uno sportello che era inutilizzato perché dicevano che in questa zona non c’erano stranieri, quando gli stranieri cercavano un ambulatorio. Abbiamo scoperto che, in realtà, c’era una stanza preposta nell’ambulatorio, ma era l’ultima, quasi nascosta; il servizio non aveva un orario, un’insegna, il collega era assente».

Lei e altri due medici volontari propongono, all’allora dirigente, di lavorare gratuitamente per un anno, dimostrando alle istituzioni che avrebbero riempito i tre ambulatori che intendevano allestire. L’operazione ebbe un successo enorme: «Accoglievamo gli stranieri, anche gli europei non iscrivibili al nostro servizio sanitario, i senza fissa d’ora, i rom. Stavamo alla Asl di via Cartagine e, dopo un anno, abbiamo iniziato a ‘battere cassa’, visto che supplivamo al collega che non svolgeva il servizio. Per quasi tre anni, abbiamo avuto una convenzione con la Asl che ci pagava, anche se poco, e con questa cifra abbiamo costruito la prima biblioteca».

Donatella è un fiume in piena, desiderosa di far capire, soprattutto, come solo l’opera di medici volontari si sia presa cura di una realtà di fronte alla quale le istituzioni chiudevano gli occhi. Oggi, quindi, il suo servizio, prestato tutti i giovedì pomeriggio, prosegue a “Selam”, dove è stata chiamata per i rifugiati politici che, nel 2006, abbandonato l’“Hotel Africa” sulla Tiburtina, occuparono gli edifici, che poi apparterebbero alla Facoltà di Lettere di Tor Vergata. Per loro il Comune di Roma pagava un canone all’Enasarco, ma poi non lo ha più fatto. C’è una disputa in corso con l’ente, ma gli occupanti sono rimasti e necessitano di cure. Chi passa i vaccini e il materiale sanitario che occorre, le chiedo. «Lotte, lotte e lotte col Sistema Sanitario. Io faccio richiesta come medico di base, facendo presente che qui abitano migliaia di persone, che la promiscuità è elevata, e ottengo così gli strumenti necessari».

Poi un giorno, superato il bisogno delle cure, Donatella si chiede come avrebbe potuto un genitore straniero, che vive in una terra straniera, leggere una favola della sua lingua al proprio bambino. E, mentre parla, mi accorgo che ci troviamo proprio nella stanza delle letture per i bambini e, accanto a quelle italiane, campeggiano fiabe in cinese, arabo, in tutte le lingue del mondo.

La biblioteca nasce nel 2010, sempre nei locali della scuola primaria, ma al piano terra, in uno spazio più piccolo di quello odierno in piena realizzazione. A raccontarmi la storia è quel Paolo Guerra che citavo prima, che mi fa da cicerone per i nuovi ambienti. Lui è uno dei tanti volontari che permettono l’attività della biblioteca. Paolo è in pensione, ma prima si occupava di restaurare mobili antichi, adesso ha, invece, a cuore l’acculturamento delle persone, soprattutto di coloro che lamentano la scarsità di luoghi di studio: «C’è la Raffaello ad Anagnina, la Nelson Mandela a San Giovanni, ma in questa zona non c’era una biblioteca; questa sarà anche la casa di tanti studenti, che da anni cercano uno spazio dove studiare, senza necessariamente arrivare fino all’università».

Paolo mi elenca numeri e dati della biblioteca: 20 mila libri in più di 25 lingue, un settore multimediale con più di 1300 dvd, rete WiFi e postazioni internet, il riconoscimento come biblioteca di interesse culturale locale da parte della Regione Lazio. Tutto è stato possibile anche grazie alle numerose donazioni ricevute: dal New York Times, alla casa editrice Nottetempo, ma anche generose elargizioni da parte di fondazioni che hanno a cuore, soprattutto, Selam: Open Society Foundation e Nando Peretti Foundation. Autofinanziamenti attraverso cene svolte con il, tacito, consenso del municipio che ha sempre agevolato le attività della biblioteca. Oltre alla possibilità del prestito, ci sarà quella di frequentare corsi di storia dell’arte, di italiano per stranieri tenuti da docenti volontari; di partecipare a presentazioni, proiezioni, per contenuti sempre rivolti al sociale.

La curiosità sta nella tipologia dei testi, che è la più svariata, a eccezione dei libri religiosi, che qui dentro non sono presenti: «La cultura non ha bisogno di paletti, che le religioni mettono» sentenzia Paolo. E nemmeno quelli di Bruno Vespa, tiene a sottolineare. Questi sono, soprattutto, luoghi di incontro e scambio. Ed è così che mi presenta Khadim, un senegalese volontario, anche egli parte attiva della gestione della biblioteca. Il “reclutamento” dei volontari è semplicissimo, incalza Paolo: «Minimo di intelligenza, essere antifascisti e antirazzisti».

Camminando nelle varie sale, incontro tanti uomini e donne alle prese con gli ultimi preparativi: scatoloni da svuotare, i libri da posizionare sugli scaffali, una catalogazione da ultimare, ma anche la rifinitura dei, ben sette, bagni che, per legge, sono stati realizzati. Tra un volto e l’altro, incrocio quello di Simona De Santis, una delle insegnanti volontarie di italiano, la quale mi racconta della gioia immensa che si prova quando si insegna la propria lingua a chi, come i migranti che partecipano alle sue lezioni, hanno l’entusiasmo di impararla. I corsi sono già attivi e la frequentazione è assai elevata.

È quasi tutto pronto per sabato 2 dicembre, per l’inaugurazione di questi nuovi locali e per l’occasione saranno esposte le opere dell’architetto Lorenzo Sartori. Evento realizzato anche grazie a un crowdfunding presentato da un bellissimo videoclip: una bambina mostra i locali in rifacimento, chiedendo sostegno per la ristrutturazione. La giornata avrà inizio con le attività alle 10.30 con laboratori per bambini, videoforum per i ragazzi; alle 18, il taglio del nastro, con saluto delle autorità, ospite per l’occasione Margherita Buy. La serata sarà animata dal tango e dalla presenza di un’altra realtà culturale, vanto del quartiere: il “QuadraCoro”; a seguire, i “Destination West Africa” e i “Rosso Malpelo”. Per l’intero programma e tutte le altre informazioni della biblioteca, e dell’associazione, si può consultare il sito: www.associazionecittadinidelmondo.it

I volontari sono alle prese con le ultime faccende e con l’organizzazione dell’inaugurazione. Sono tante le informazioni, i racconti di questa sera. Esco dalla biblioteca/acquario con nuovo entusiasmo e tanti pensieri. Quello più bello è di un papà straniero che legge la fiaba a suo figlio nella lingua a loro più familiare, poi la mette da parte e ne prende una in italiano, che al bambino appartiene di diritto perché è nato qui.