La testa di moro sul telo bianco e nero sventola su un fiume di nazionalisti che gridano ripetutamente slogan indipendentisti. L’effetto domino spagnolo è arrivato fino a qui. Nell’Europa che si disgrega come una galassia di autonomismi velleitari, la prossima Catalogna si trova in Corsica. Bombe esplose, sparatorie, arresti. Per anni l’indipendentismo dell’isola è stato solo questo. Invece due giorni fa la manifestazione elettorale che ha riunito i nazionalisti era pacifica, i corsi hanno abbandonato la violenza degli anni passati, si sono consolidati come autonomisti e hanno vinto le elezioni.
«Non abbiamo dimenticato niente, la Francia ha portato il nostro Paese nel buio». Jean Guy Talamoni, presidente dell’Assemblea corsa, ha infiammato gli universitari tra le montagne di Corte, parlando dell’unico destino dell’isola: l’indipendenza. L’economia della Corsica è debole e per lo più basata sul turismo, «perché siamo stati impoveriti dalle politiche che loro, i colonizzatori, ci hanno imposto». Guardano indietro, molto indietro fino a Pascal Paoli, eroe dell’indipendenza del 18esimo secolo, di cui Talamoni è un esperto conoscitore.
I nazionalisti dell’isola di oggi non sono come quelli in madrepatria e nemmeno come quelli di Marine Le Pen, che con il suo Fronte Nazionale, qui non riesce ad attrarre elettori. I francesi in questi raduni sono “i colonizzatori”, il movimento armato corso, il Flac, ha abbandonato ufficialmente le armi solo nel 2014, ma i manifestanti vogliono che 40 anni di lotta non siano passati invano. A dirlo, sono soprattutto i giovanissimi, che all’epoca non erano ancora nati. «Siamo corsi, non francesi».
I nazionalisti hanno vinto almeno la metà dei voti nel primo round delle elezioni territoriali di domenica, ma la notizia non è questa. È che la voce che urla autonomia si fa sempre più alta e forte e prima o poi arriverà fino a Parigi. Il governo francese sta ignorando questo movimento e la reazione delle autorità francesi è stata uniforme e silenziosa. Quasi muta. C’è stato qualche titolo di giornale, ma nessuna dichiarazione ufficiale dell’Eliseo. Ci sono solo quelle del presidente Emmanuel Macron in Africa e quelle del ministro dell’Interno, ma riguardavano i migranti.
«Non è indipendenza, è ostilità» ha detto Gilles Simeoni, il vecchio sindaco di Bastia, una delle due città più grandi dell’isola, ora a capo del consiglio esecutivo della Corsica, leader dell’ala nazionalista autonoma. È stato anche l’avvocato di Yvan Colonna, arrestato nel 1998 per aver ucciso un prefetto, Claude Erignac, un omicidio considerato un gravissimo atto di violenza anti-statale in un conflitto per l’autonomia durato 40 anni. Colonna per gli abitanti dell’isola è “prigioniero politico”, una categoria non riconosciuta da Parigi, che ha messo dietro le sbarre negli anni almeno 30 nazionalisti. Simeoni è la faccia pulita per gli elettori, che ha promesso di mettere fine al clientelismo che domina le politiche dell’isola.
Autonomia fiscale, autonomia nel sistema educativo, un programma per ripopolare le aree interne impoverite e abbandonate dell’isola. Tutto questo chiedono i nazionalisti, ma la risposta non arriva da oltremare. «Lo Stato è silente e paralizzato, la gente dice: almeno quando avevamo le bombe, ci ascoltavano», ha detto Simeoni, che ha vinto con il 45% dei voti all’ultima tornata elettorale con la lista Pe a Corsica, per la Corsica, battendo i candidati repubblicani, della destra, Jean Chales Orsucci, candidato di Macron e U rinnovu, movimento autonomista radicale. Ma ancora nessuna reazione: la Francia della terraferma sta guardando da un’altra parte.