C’è una parte della Svizzera che sta marciando per i diritti di migranti e richiedenti asilo, girando il Paese in lungo e in largo per denunciare le politiche elvetiche al riguardo. Un movimento corale, composto da molte associazioni, lanciato da Lisa Bosia Mirra come risposta alla vicenda che l’ha vista protagonista. A quella condanna in primo grado che la giustizia svizzera ha emesso a settembre nei confronti della deputata socialista del Gran Consiglio del Canton Ticino, accusata di “preparazione all’entrata, al soggiorno e all’uscita di clandestini”. Non si può quindi parlare della marcia, di quella che è a tutti gli effetti un’azione civile di denuncia, senza partire prima dai fatti che l’hanno ispirata. E allora non ci resta che tornare all’agosto 2016, momento in cui Lisa aiuta una ventina di migranti (perlopiù eritrei e siriani) ad attraversare la frontiera italo-svizzera. Per dargli modo di proseguire il viaggio e di ricongiungersi con i loro cari nei paesi del nord Europa. Un’azione illegale per la giustizia elvetica, perché contro la legge erano quelle persone che volevano attraversare il confine. La realtà però ci dice anche altro. “All’incirca a luglio 2016 – racconta Lisa – la Svizzera cominciò a fare dei respingimenti indiscriminati e numericamente molto rilevanti alla frontiera con l’Italia, nei pressi di Como”, a seguito dei quali si creò proprio nella cittadina italiana una situazione d’emergenza, parte della quale viene affrontata tutt’oggi dai volontari di Como Senza Frontiere. Al netto della delirante invasione fascista ad opera di appartenenti al Veneto Fronte Skinhead, testimoniata da un video ormai celebre. “In pochi giorni – ricorda Lisa tornando alla propria vicenda – ci furono oltre 500 persone per strada. Un problema umanitario, per il quale si è dovuto provvedere a tutto. Ingigantito dal fatto che il 90% delle persone erano arrivate da pochi giorni in Italia, portando con loro segni recenti di torture oltre al dolore per aver perso parenti o persone care da poco”. Inizialmente si cercò il dialogo con le istituzioni.
“Visto che avevo lavorato per molti anni con l’Ufficio Federale Immigrazione – ricorda Lisa – parlai con la guardia di confine per capire cosa stesse succedendo, ma le risposte non furono convincenti. A quel punto, di fronte all’emergenza e al fatto che la situazione non si riusciva a sbloccare è scattata la molla della disobbedienza civile. Sentivo che non potevo lasciare quelle persone, con le quali si era creato anche un legame, in quella situazione. Capii che non avrei trovato un modo legale per aiutarle a proseguire il loro viaggio, e decisi di farlo diversamente. Se le leggi non tutelano le persone credo che siamo obbligati ad agire in altro modo. Ripeto, non sono una che ha l’abitudine di infrangere la legge, ma non c’era una maniera legale di aiutare quelle persone”. La legalità si è tradotta invece nella condanna per Lisa Mirra, dove non è stata riconosciuta alcuna attenuante umanitaria. Condanna (ad una pena pecuniaria) sospesa poi con la condizionale per due anni. Una legalità che non ha tenuto conto nemmeno di alcuni casi di migranti che morirono folgorati nel tentativo di attraversare quella parte di frontiera arrampicandosi sopra i treni. Che non ha considerato neanche la presenza di molti minori non accompagnati tra i respinti.
Una vicenda dura dal punto di vista umano per Lisa Mirra, che si riserva comunque di fare appello alla condanna non appena arriveranno le motivazioni della corte. Una vicenda che ha ispirato però un movimento di denuncia: la Bainvegni Fugitivs Marsch (Marcia per i diritti umani e la dignità umana). Il nome è in romancio, la quarta lingua nazionale svizzera, quella di una piccola minoranza. Scelta simbolica perché “come rispettiamo questa minoranza, non solo linguistica – racconta Lisa – possiamo rispettare anche quelle di migranti e richiedenti asilo”. Si tratta di una vera e propria marcia, aperta a tutti e sostenuta da più di 24 associazioni di natura diversa tra loro (Amnesty, Solidarité sans frontiè, partiti politici e tanti altri) che, partita lo scorso 15 ottobre da Bellinzona, percorrerà più di 1000 km in Svizzera toccando oltre 50 località. E si concluderà simbolicamente il 10 dicembre, Giornata mondiale dei diritti umani, sempre a Bellinzona. Un movimento il cui scopo principale è quello di denunciare la politica migratoria svizzera su più piani, chiedendo, come si legge nel manifesto pubblicato sul sito “il rispetto del diritto d’asilo, la fine della chiusura delle frontiere, la fine dei respingimenti, la fine delle politiche di controllo e persecuzione dei richiedenti asilo”. Parole forti e chiare, proprio come quelle di Lisa, a cominciare dal tema delle richieste d’asilo: “sulle quali abbiamo assistito negli ultimi tempi ad un continuo inasprimento delle leggi. In Svizzera non ci sono muri di pietra ma un sistema burocratico tale che è quasi difficile non solo ottenere ma anche richiedere il permesso di asilo”. Poi c’è la questione dei respingimenti “dove la Svizzera è campione di rinvii – afferma Lisa – con circa 3500-4000 persone l’anno rispedite in Italia, spesso separando le famiglie. E sappiamo bene che quelle persone rispedite nel vostro paese le stiamo buttando in mezzo ad una strada”. A questo si aggiungono misure sempre più violente contro chi è considerato “indesiderabile” (come chi ha ricevuto risposta negativa alla domanda d’asilo, che può essere tenuto in detenzione amministrativa se non lascia il territorio) o contro chi è già nel paese con un permesso di soggiorno ma magari attraversa un momento di difficoltà. “Se chiedono aiuti sociali – ci spiega Lisa – a quelle persone viene tolto il permesso di soggiorno e sono costrette ad andarsene”. Mentre è sempre più difficile l’accesso alla cittadinanza. Una politica, quella relativa a migranti, richiedenti asilo e indigenti che per dirla con le parole di Lisa “ha un costo enorme in termini umani e non si giustifica in nessun modo”.
Oltre alla denuncia, l’altro obiettivo della marcia era quello di mettere in rete tutte le associazioni, anche piccole, che si occupano di accoglienza e condividono le idee del manifesto. A pochi giorni dalla conclusione del cammino, è inevitabile chiedere alla deputata svizzera un bilancio su questo aspetto. “Siamo un paese complesso – racconta Lisa – che sembra stia diventando sempre più rigido e xenofobo. Una come me è ostracizzata in Canton Ticino. Allo stesso modo però le differenze non mancano. A Ginevra c’è un sindaco di un movimento che mette al cento delle proprie politiche l’aiuto ai richiedenti asilo, dal quale siamo stati ricevuti nel corso della marcia. Da lui come dal sindaco di Neuchâtel. In generale posso dire che quest’altra Svizzera, quella dell’accoglienza, è grande. Tappa dopo tappa sono rimasta sempre più colpita dal numero e dalla qualità dei progetti messi in campo, che si scontrano con la rigidità di un sistema burocratico che limita le possibilità di intervento della società civile. Ho incontrato tantissime persone che ci hanno accolto, hanno camminato con noi. Addirittura deputati che hanno fornito i loro indirizzi come residenza dei migranti, per evitare loro il rinvio secondo gli accordi di Dublino. Quest’altra svizzera è meravigliosa. Sicuramente però è poco ascoltata dalle istituzioni”. Fondamentale ora sarà non fermarsi qui, dare un seguito a questo grande movimento, provando magari a fare rete anche con altri movimenti analoghi in Europa. L’ideatrice di tutto questo lo sa bene, come sa anche che “dopo un esperienza di questo tipo – conclude Lisa – c’è bisogno di tempo per far decantare il tutto. Per capire punti di forza e di debolezza. Dopo aver incontrato tanti movimenti e collettivi le idee ci sono. In particolare ne avrei una… ma ancora è presto”. Giusto. Le idee migliori, quelle che sono in grado di cambiare le cose in meglio, hanno bisogno del loro tempo per maturare. Per cui aspettiamo.