L'ultima tragedia, la morte di una bambina che con la sua famiglia era stata rispedita indietro, è la rappresentazione di un'odissea infinita. «Trattano i rifugiati come non umani», ha detto la sorellina di Madina

Una bambina di sei anni che ha già affrontato il mare su un gommone tra le onde, per scappare dalla guerra e vivere in Europa. Un treno che si muove veloce sui binari per la deportazione forzata che la deve rispedire indietro con la sua famiglia. E alla fine, quattro bottiglie d’acqua: il necessario per il suo funerale, per lavare il suo minuscolo corpo per la veglia funebre. Perché quella bambina, minore migrante afghana, di nome Madina Husein, è morta così, mentre il governo serbo e quello croato litigavano e il vagone su cui doveva essere rimandata indietro, l’ha ammazzata.

È accaduto al confine di Sid, dopo che la polizia croata aveva bloccato la famiglia afgana a Tovarnik, Croazia. Gli Husein tentavano ancora una volta di attraversare il confine, ma le forze dell’ordine hanno rispedito indietro i migranti, dopo averli interrogati nella stazione di polizia più vicina. Madina, insieme ai suoi fratellini, stava camminando da giorni e sua madre pregava le divise di Zagreb di far riposare i figli, ma non è servito a nulla.

Quando Madina è morta, la famiglia è stata bloccata in una foresta per un’ora, mentre le divise croate intimavano di aspettare la polizia serba, che sarebbe arrivata e li avrebbe riportati a Belgrado. Non sapevano ancora che Madina fosse morta, quando la madre ha chiesto in che ospedale si trovasse, i croati hanno risposto di non saperlo. È stato il fratello di Madina, di 15 anni, ad accorgersi che il corpo della sorella era ormai senza vita, proprio sotto il treno che doveva riportarli indietro, in Serbia. «Trattano i rifugiati come non umani» ha detto Nilab, 17 anni, sorella della piccola profuga.

Ci sono voluti quattro giorni per notificare la morte della bambina afghana di nome Medina, che i genitori non hanno potuto seppellire a Belgrado, dove la famiglia Hussein sarebbe stata aiutata dalla piccola comunità locale di afghani nella capitale. Madina è seppellita a Sid, lo sarà per sempre, perché altrimenti l’intera famiglia avrebbe rischiato un’altra deportazione.

Le autorità serbe, quando hanno accertato legalmente la morte della bambina, hanno dato alla famiglia quattro bottiglie di plastica di acqua per il rito funebre e le loro scuse a voce. Il ministero dell’Interno croato invece ha definito questa morte “deplorevole”, ma non ha ammesso che la colpa fosse della polizia di frontiera e ha ribadito che la famiglia Hussein è tornata in Serbia volontariamente.

Nilab Husein ha detto: «volevano nascondere la morte di mia sorella, trattano i rifugiati come non umani». Secondo Medici senza Frontiere, 7 profughi, di cui tre bambini, sono morti al confine tra Serbia e Croazia nell’ultimo anno, proprio lungo la linea dei binari tra Tovarnik e Sid, mentre tentavano la fuga verso un mondo migliore.

Settemila rifugiati sono ancora nel limbo tra Croazia e Serbia, sono rimasti intrappolati lì, quando la rotta balcanica si è chiusa e l’ovest d’Europa ha sbarrato le sue porte ai migranti in marcia dai Balcani nel marzo del 2016. Per loro ogni giorno la sopravvivenza si fa sempre più dura e sempre più impossibile. E questo per loro sarà un ennesimo, lunghissimo inverno d’Europa.

La foto di Madina da aljazeera.com (per gentile concessione della famiglia Husein)