Dopo la condanna dell'ex vice presidente del Congo Jean Pierre Bemba per i crimini commessi dai militari nel 2002 e 2003, si attende la decisione della Corte penale internazionale sulle riparazioni alle vittime. Ma le violenze sessuali non sono finite e le vittime sono avvolte nel silenzio

In Repubblica Centrafricana è l’arma più brutale: lo stupro è strumento di guerra dei gruppi militari che agiscono con impunità. Non un’eccezione tollerata dai comandanti a capo delle truppe che devastano il Paese, ma in alcuni casi un ordine da eseguire, una tattica da mettere in pratica per i soldati nemici. Adesso c’è una possibilità pallidissima e remota che giustizia venga fatta. Anche se in ritardo.

Dei crimini sessuali e dello stupro come arma di guerra, se ne riparlerà all’anniversario della Corte penale internazionale, che festeggerà il ventennio dello Statuto di Roma l’anno prossimo. Può essere fatta giustizia, anche se quasi 20 anni dopo: la Corte sta per decidere le riparazioni alle vittime dopo che, nel marzo 2016, Jean Pierre Bemba Gombo, ex vice presidente della Repubblica democratica del Congo, è stato ritenuto colpevole delle violenze sessuali commesse in Centro Africa nel 2002 e nel 2003 dalla milizia al suo comando e condannato a 18 anni di reclusione per crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Per il caso Bemba sono state raccolte le testimonianze di oltre 5mila vittime dell’epoca, ma la situazione oggi nel Paese non è migliorata.

Dopo l’uccisione di un casco blu, c’è stata l’evacuazione dei dottori di Medicins Sans Frontieres, che stanno abbandonando il territorio dopo gli ultimi attacchi registrati dieci giorni fa a Bangassou. La violenza settaria che attraversa tutta la Repubblica Centro Africana dilaga da cinque anni, da quando Francois Bozize, ex presidente, nel 2013 è stato defenestrato dai Seleka, un gruppo ribelle musulmano, contro cui pattuglie cristiane si sono formate, fucili al braccio. Ancora oggi, da quel 2013, Bangui, la capitale dello Stato, vive nel caos degli scontri tra i musulmani Seleka e gli anti-balaka cristiani. Non solo uccisioni sommarie e brutalità dilagante: nel Paese la prima strategia per alimentare il terrore è ancora lo stupro. La violenza commessa sulle donne arriva dai due lati, da musulmani e cristiani senza distinzione. È dal 2016, secondo l’International Crisis Group, che la situazione è degenerata.

Solo un mese fa le Nazioni Unite hanno deciso di dispiegare altri novecento soldati per mantenere la pace, ma non farà alcuna differenza una volta che saranno sul territorio: la Repubblica Centrafricana è vastissima, più grande della Francia, ed è uno dei Paesi più poveri del continente. Solo oggi, da quando è stato eletto, il presidente Faustin Archange Touadera, dopo un accordo con il Fondo Monetario Internazionale per un prestito di 40 milioni di dollari, ha ordinato che vengano pagati i salari che erano stati bloccati dall’inizio della guerra, a dicembre 2013.

È stata Human Right Watch a lanciare l’allarme per gli stupri, raccogliendo testimonianze di donne che sono state trattenute come schiave anche per 18 mesi. Hillary Margolis, una ricercatrice di Hrw, dice che «i gruppi armati usano lo stupro in maniera brutale e calcolata per punire e terrorizzare donne e ragazze. Ogni giorno le sopravvissute convivono con le conseguenze devastanti dello stupro, sanno che i loro assalitori camminano liberi, anzi, occupano posizioni di potere e non dovranno affrontare nessuna conseguenza per quello che hanno fatto». Gli attacchi sessuali che hanno subito sono stati multipli, accompagnati dalla tortura. Da sopravvissute non hanno accesso al supporto sanitario, quello giudiziario è addirittura un’utopia.

Dopo lo stupro, le donne vengono abbandonate dai mariti, dalla famiglia d’origine ed esiliate dalla comunità. «Vige il concetto secondo cui se tua moglie ha dormito con un’altra persona, ora appartiene a quell’uomo» dice Margolis, che aggiunge che nessun membro dei gruppi militari è mai stato arrestato per quello che ha fatto.

Lo stupro commesso dalle due fazioni in lotta, gli uni contro le donne del raggruppamento degli altri, è una vendetta percepita come dovuta e necessaria per piegare il nemico. Per l’assenza di strutture giudiziarie, le donne non riportano o denunciano questi crimini, che secondo le Nazioni Unite, solo nel 2014, sono stati più di 2500. La maggior parte delle donne rimane in un limbo di silenzio, anche le donne che hanno contratto l’Hiv o tentato il suicidio non vengono curate per assenza di strutture, mentre le poche funzionanti, di solito, si trovano lontano dalle loro case.

Quello che chiede Human Right Watch è che venga lanciato un segnale potente, urgente nella Repubblica Centrafricana, che affermi che lo «stupro è un’arma di guerra intollerabile, che chi lo commette verrà punito, che le sopravvissute riceveranno l’aiuto di cui hanno disperatamente bisogno». I soldati delle Nazioni Unite, che dovrebbero aiutare nella prevenzione di questi crimini, però sono stati già tacciati al pari di far ricorso alla violenza sessuale. I membri della missione dell’organizzazione nella Repubblica Centrafricana, sono stati accusati, proprio come lo sono stati gli uomini delle truppe francesi ed europee, di abuso su minori e adulti, con casi registrati dal 2013.