«Sono andata lontano per capire quello che succede qui», racconta Cecilia Strada. L’ex presidente di Emergency (dal 2009 a luglio 2017) non ha nessuna intenzione di riposarsi e continua imperterrita sulla strada della pace e dei diritti. Abbiamo voluto chiacchierare con lei sul momento attuale e sugli scenari futuri, anche a partire dal suo La guerra fra noi, appena uscito per Rizzoli. Diranno i maligni: ma c’era proprio bisogno di un ennesimo libro sulla guerra? Beh, intanto risponderei che è il mio primo libro, quindi volevo scriverne almeno uno anch’io! E in realtà è un libro che descrive guerre diverse: il giorno in cui l’ho presentato a Roma stavamo festeggiando in una trattoria e alcuni canadesi mi hanno chiesto di che parlasse e gli ho risposto “di tanti tipi di guerra”. C’è la guerra fatta con le pallottole sparando al Campus a Kabul, c’è quella preparata (come avviene nella fabbrica di bombe in Sardegna). Poi ci sono quelli che pagano il conto della guerra (che sono sempre i poveracci, sia che siamo noi con i nostri diritti negati e i soldi che non ci sono mai per il sociale e invece si trovano sempre per le armi, sia che siano quelli al di là del mondo). E infine c’è la guerra che torna a chiedere il conto: abbiamo passato decenni a riempire zone del mondo di armi, violenza e insicurezza, ci abbiamo mandato gli eserciti, gli abbiamo portato via le risorse e la conseguenza la vediamo oggi sotto forma di un flusso inverso di persone che da quei Paesi scappano, migrano, si spostano e vengono qui. È un cerchio in cui siamo tutti collegati. Scrivi che una pistola vive almeno 70 anni. Viene prodotta e spedita per un obiettivo che in tanti anni può cambiare e alla fine magari te la ritrovi puntata addosso. Eppure i temi del disarmo e più in generale del pacifismo sembrano non funzionare più qui da noi. Perché? È una buona domanda. Ma io non ho la risposta. In generale nella vita devo ammettere che preferisco cercare le domande. In generale penso che il pacifismo non abbia un buon ufficio stampa mentre la guerra ha un ufficio marketing efficientissimo, poiché è necessaria la propaganda di guerra per convincere i cittadini a sponsorizzare, celebrare e pagare questa pazzia totale che è la guerra. C’è un grosso equivoco nel credere che la pace sia qualcosa di passivo, per niente eccitante quando invece si tratta di qualcosa estremamente attivo: la pace la dobbiamo costruire ogni giorno con i nostri comportamenti, partendo dal nostro quartiere. Non è passività. La pace è un’attività. E non è nemmeno vero che sia sacrificio: non ci ritroviamo a... [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'intervista di Giulio Cavalli a Cecilia Strada prosegue su Left in edicola

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«Sono andata lontano per capire quello che succede qui», racconta Cecilia Strada. L’ex presidente di Emergency (dal 2009 a luglio 2017) non ha nessuna intenzione di riposarsi e continua imperterrita sulla strada della pace e dei diritti. Abbiamo voluto chiacchierare con lei sul momento attuale e sugli scenari futuri, anche a partire dal suo La guerra fra noi, appena uscito per Rizzoli.

Diranno i maligni: ma c’era proprio bisogno di un ennesimo libro sulla guerra?

Beh, intanto risponderei che è il mio primo libro, quindi volevo scriverne almeno uno anch’io! E in realtà è un libro che descrive guerre diverse: il giorno in cui l’ho presentato a Roma stavamo festeggiando in una trattoria e alcuni canadesi mi hanno chiesto di che parlasse e gli ho risposto “di tanti tipi di guerra”. C’è la guerra fatta con le pallottole sparando al Campus a Kabul, c’è quella preparata (come avviene nella fabbrica di bombe in Sardegna). Poi ci sono quelli che pagano il conto della guerra (che sono sempre i poveracci, sia che siamo noi con i nostri diritti negati e i soldi che non ci sono mai per il sociale e invece si trovano sempre per le armi, sia che siano quelli al di là del mondo). E infine c’è la guerra che torna a chiedere il conto: abbiamo passato decenni a riempire zone del mondo di armi, violenza e insicurezza, ci abbiamo mandato gli eserciti, gli abbiamo portato via le risorse e la conseguenza la vediamo oggi sotto forma di un flusso inverso di persone che da quei Paesi scappano, migrano, si spostano e vengono qui. È un cerchio in cui siamo tutti collegati.

Scrivi che una pistola vive almeno 70 anni. Viene prodotta e spedita per un obiettivo che in tanti anni può cambiare e alla fine magari te la ritrovi puntata addosso. Eppure i temi del disarmo e più in generale del pacifismo sembrano non funzionare più qui da noi. Perché?

È una buona domanda. Ma io non ho la risposta. In generale nella vita devo ammettere che preferisco cercare le domande. In generale penso che il pacifismo non abbia un buon ufficio stampa mentre la guerra ha un ufficio marketing efficientissimo, poiché è necessaria la propaganda di guerra per convincere i cittadini a sponsorizzare, celebrare e pagare questa pazzia totale che è la guerra. C’è un grosso equivoco nel credere che la pace sia qualcosa di passivo, per niente eccitante quando invece si tratta di qualcosa estremamente attivo: la pace la dobbiamo costruire ogni giorno con i nostri comportamenti, partendo dal nostro quartiere. Non è passività. La pace è un’attività. E non è nemmeno vero che sia sacrificio: non ci ritroviamo a…

L’intervista di Giulio Cavalli a Cecilia Strada prosegue su Left in edicola


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