In tre mesi almeno in duemila hanno passato il confine tra Italia e Francia. Spesso sono minori non accompagnati e si ritrovano spaesati in mezzo al freddo. Una rete di montanari volontari li aiuta anche se poi la polizia francese li rispedisce indietro

A decine ci provano ogni settimana, quando la temperatura scende a meno venti. Dall’Italia alla Francia. Senza equipaggiamento e nel bianco abbagliante. Senza nemmeno un paio di stivali. Ma l’anno scorso, come in questo nuovo anno, si mettono in cammino verso una nuova vita. Al gelo, affondando i piedi nel ghiaccio che copre quasi tutto, a quasi duemila metri d’altezza, lungo il passo alpino che separa il suolo francese da quello italiano: i migranti sono in marcia.

Da Ventimiglia al Brennero, poi le Alpi: la prima città da raggiungere nella terra francese è Briançon, dove è stato aperto un rifugio per la notte. I locali, che sanno quanto pericolose siano le loro montagne, hanno deciso di aiutarli e raccontano che la maggior parte dei profughi in arrivo sono minori non accompagnati, che tentano di raggiungere suolo francese. La rete dei volontari conta 1300 persone dei villaggi circostanti: dal bucato al sostegno giuridico, dalle ronde per i dispersi a chi distribuisce cibo, in mille sulle Alpi tendono la mano.

Quando cala dall’alto, la guardano per la prima volta nella loro vita: gli africani vedono lassù per la prima volta la neve. Dalla caldissima Africa, i rifugiati affrontano temperature gelate. Accendono il fuoco di notte, si dividono il cibo. Sperano. Ricordano i Paesi d’origine: Mali, Guinea, Costa d’Avorio. Dormono e all’alba, un passo dopo l’altro, continuano ad andare verso nord.

In tre mesi in millecinquecento almeno, quasi duemila rifugiati ce l’hanno fatta, ma il percorso è arduo, quasi impossibile senza preparazione e abiti caldi, di cui i migranti sono sforniti. Gli alpini che pattugliano la zona dicono di aver paura di trovare i cadaveri in primavera, quando la neve si scioglierà. Alberto Rabino, a capo degli alpini di Bardonecchia, dice di aver ricevuto decine di chiamate dai migranti negli ultimi giorni. Si perdono nei boschi, nella neve, nel buio e quando i soccorritori arrivano li trovano in condizioni pericolosissime, a volte senza nemmeno le scarpe, a volte gravemente feriti. Joel Pruvot fa il volontario nel rifugio e anche lui racconta di aver trovato rifugiati senza scarpe nella neve: “gli africani non hanno idea di quanto sia pericolosa la montagna”.

Quando riescono a scampare alla morte per congelamento, a volte si imbattono nella polizia francese che li rispedisce indietro. Vicino a Bardonecchia, mentre il 2017 diventava 2018, un gruppo di migranti ha tentato di arrivare a Col de l’Echelle. Lì l’altezza sfiora i duemila metri. Erano in sei ed erano arrivati in Italia a luglio. Quasi tutti, come la maggior parte dei migranti che hanno la forza di compiere il percorso, erano minorenni. Tutti con negli occhi un sogno: una nuova vita oltre le Alpi.