La magistratura di Tel Aviv potrà ordinare ai social network di cancellare i contenuti che ritiene incitino “alla violenza”. È difatti passata alla Knesset la prima approvazione di una legge relativa alla possibilità di imporre ai social network di ripulire le pagine che riportano “incitamenti all’odio”, e che “rappresentano un pericolo per la sicurezza di individui, del pubblico, del Paese”. Ora la norma dovrà fare altri due passaggi in Parlamento e salvo imprevisti sarà approvata. Già soprannominata “legge Facebook”, è stata voluta da due ministri dal pugno di ferro: Ayelet Shaked, ministro della Giustizia, e Gilad Erdan, titolare della Sicurezza. Sebbene l'opinione pubblica israeliana sia sempre stata molto sensibile al tema della sicurezza, non tutti hanno accolto favorevolmente il provvedimento. Molte organizzazioni non governative e numerosi attivisti per i diritti umani vi hanno intravisto una ratio censoria e contro la libertà di espressione che poco ha a che fare con i rischi del terrorismo. Contro la legge Facebook è entrato a piedi uniti, dagli Usa, anche il premio Pulizer Glenn Greenwald. «Facebook cancella gli account su indicazione del governo israeliano e nordamericano» ha scritto su Intercept. «Il 96% dei palestinesi usa Facebook per aggiornarsi» e seguire quello che sta accadendo dalla West Bank a Gaza. Quindi, scrive Greenwald, «questo vuol dire che gli israeliani vogliono bloccare una forma di comunicazione chiave nei forum palestinesi». Perplessità sono state manifestate anche altrove. La federazione dei giornalisti arabi, la FAJ, si è appena fatta sentire dal Cairo: gli israeliani possono scrivere indisturbati quello che vogliono, mentre gli account dei palestinesi vengono chiusi «senza una ragione convincente», è «una palese violazione della libertà di opinione e di espressione». Tra i post già cancellati, la Faj ha rilevato che non c'era alcun «incitamento all'odio, ma notizie, opinioni che condannavano l’occupazione israeliana. «Facebook collabora con i governi più potenti del mondo, quello israeliano e quello americano, per determinare chi può parlare, chi ne ha il diritto e chi no. Mi risulta difficile immaginare chi altro possa minacciare di più, in questo modo, la libertà su internet» scrive ancora Greenwald. «L'idea che i manager della Silicon Valley e gli ufficiali del governo americano censurino gruppi marginali è assurda, in ogni caso vediamo che quando tenti di censurare un movimento, favorisci il potere dominante. Ecco perché Facebook blocca i palestinesi, non gli israeliani: i palestinesi non hanno potere, gli israeliani si. Più permettiamo a queste entità di censurare, più mettiamo a rischio di marginalizzazione le minoranze che finiranno soppresse».

La magistratura di Tel Aviv potrà ordinare ai social network di cancellare i contenuti che ritiene incitino “alla violenza”. È difatti passata alla Knesset la prima approvazione di una legge relativa alla possibilità di imporre ai social network di ripulire le pagine che riportano “incitamenti all’odio”, e che “rappresentano un pericolo per la sicurezza di individui, del pubblico, del Paese”. Ora la norma dovrà fare altri due passaggi in Parlamento e salvo imprevisti sarà approvata. Già soprannominata “legge Facebook”, è stata voluta da due ministri dal pugno di ferro: Ayelet Shaked, ministro della Giustizia, e Gilad Erdan, titolare della Sicurezza. Sebbene l’opinione pubblica israeliana sia sempre stata molto sensibile al tema della sicurezza, non tutti hanno accolto favorevolmente il provvedimento. Molte organizzazioni non governative e numerosi attivisti per i diritti umani vi hanno intravisto una ratio censoria e contro la libertà di espressione che poco ha a che fare con i rischi del terrorismo.

Contro la legge Facebook è entrato a piedi uniti, dagli Usa, anche il premio Pulizer Glenn Greenwald. «Facebook cancella gli account su indicazione del governo israeliano e nordamericano» ha scritto su Intercept. «Il 96% dei palestinesi usa Facebook per aggiornarsi» e seguire quello che sta accadendo dalla West Bank a Gaza. Quindi, scrive Greenwald, «questo vuol dire che gli israeliani vogliono bloccare una forma di comunicazione chiave nei forum palestinesi».

Perplessità sono state manifestate anche altrove. La federazione dei giornalisti arabi, la FAJ, si è appena fatta sentire dal Cairo: gli israeliani possono scrivere indisturbati quello che vogliono, mentre gli account dei palestinesi vengono chiusi «senza una ragione convincente», è «una palese violazione della libertà di opinione e di espressione». Tra i post già cancellati, la Faj ha rilevato che non c’era alcun «incitamento all’odio, ma notizie, opinioni che condannavano l’occupazione israeliana.

«Facebook collabora con i governi più potenti del mondo, quello israeliano e quello americano, per determinare chi può parlare, chi ne ha il diritto e chi no. Mi risulta difficile immaginare chi altro possa minacciare di più, in questo modo, la libertà su internet» scrive ancora Greenwald. «L’idea che i manager della Silicon Valley e gli ufficiali del governo americano censurino gruppi marginali è assurda, in ogni caso vediamo che quando tenti di censurare un movimento, favorisci il potere dominante. Ecco perché Facebook blocca i palestinesi, non gli israeliani: i palestinesi non hanno potere, gli israeliani si. Più permettiamo a queste entità di censurare, più mettiamo a rischio di marginalizzazione le minoranze che finiranno soppresse».