Si urla al miracolo: il maggior numero di occupati dal 1977. È stato pubblicato il nuovo rapporto dell'Istat “Occupati e disoccupati” - 13 pagine - in merito a novembre 2017. È vero, c'è stato un amento: lo 0.03% rispetto ad ottobre, con il tasso di occupazione al 58,4%. Ma proseguendo nella lettura del rapporto, si legge anche: «L'aumento è determinato esclusivamente dai dipendenti a termine, mentre calano i permanenti e rimangono stabili gli indipendenti». È quindi una motivo di vanto affermare a gran voce la crescita dell'occupazione? «È chiaro il tentativo di manovra propagandistica di Renzi e Gentiloni» dice a Left Maurizio Brotini, segretario regionale Cgil Toscana. «Nel glossario Istat c'è scritto che si considera occupato chi ha lavorato nella precedente settimana anche per un'ora. Il numero degli occupati è quindi una statistica che va presa con le molle. Quando ci sono i dati statistici dobbiamo leggere il glossario». Lo troviamo a pagina 7 del rapporto Istat. Alla definizione di “Forze di lavoro”, segue quella di “Occupati”: vengono prese in considerazione dall'Istat tutte «le persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento: hanno svolto almeno un'ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura; hanno svolto almeno un'ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente...». Quindi, nel 58,4% festeggiato dalle forze politiche al governo, sono compresi i giovani che si prestano a lavori “meno qualificati”, i cosiddetti lavoretti. Prosegue Brotini: «Si crea occupazione nei settori deboli: nel turismo, nel commercio e nei settori più sfruttati della logistica. Cresce il lavoro povero. Questa cosa ci deve far preoccupare perché in realtà l'Italia sta distruggendo il proprio apparato produttivo dei settori avanzati e cresce nei settori “bassi”». Aumentano gli occupati (ricordando la definizione di “occupazione” data dall'Istat) di tutte le classi d'età, fatta eccezione dei 35-49enni, l'ossatura di un Paese. «Il lavoro si crea povero e frantumato nei settori marginali. Non a caso noi perdiamo, se uno legge i dati Istat, lavoratori nella fascia 35-49 che dovrebbe essere l'ossatura di un Paese» - continua il segretario regionale Cgil - «La cosa più grave di questo paese che non avendo una politica industriale, non decidendo su quali settori investire, fratturano e spacchettano il lavoro che c'è, reinventando i lavoratori più precari e ricattabili. In Italia stanno destrutturando il mondo del lavoro. Dal rapporto Istat emerge che su dieci nuovi posti, uno è a tempo indeterminato, nove a tempo determinato. Qui in Italia si sta creando lavoro povero, perché si lavora poche ore e perché lo si fa in settori meno qualificati». «Questi dati dell'Istat, dovrebbero francamente farci preoccupare», conclude Maurizio Brotini, perché «siamo indietro rispetto agli altri paesi europei; perché su dieci, nove sono contratti a tempo determinato e solo uno a tempo indeterminato; perché il lavoro si crea nei settori deboli». C'è poco da festeggiare, allora.

Si urla al miracolo: il maggior numero di occupati dal 1977. È stato pubblicato il nuovo rapporto dell’Istat “Occupati e disoccupati” – 13 pagine – in merito a novembre 2017. È vero, c’è stato un amento: lo 0.03% rispetto ad ottobre, con il tasso di occupazione al 58,4%. Ma proseguendo nella lettura del rapporto, si legge anche: «L’aumento è determinato esclusivamente dai dipendenti a termine, mentre calano i permanenti e rimangono stabili gli indipendenti». È quindi una motivo di vanto affermare a gran voce la crescita dell’occupazione?

«È chiaro il tentativo di manovra propagandistica di Renzi e Gentiloni» dice a Left Maurizio Brotini, segretario regionale Cgil Toscana. «Nel glossario Istat c’è scritto che si considera occupato chi ha lavorato nella precedente settimana anche per un’ora. Il numero degli occupati è quindi una statistica che va presa con le molle. Quando ci sono i dati statistici dobbiamo leggere il glossario».

Lo troviamo a pagina 7 del rapporto Istat. Alla definizione di “Forze di lavoro”, segue quella di “Occupati”: vengono prese in considerazione dall’Istat tutte «le persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento: hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura; hanno svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente…». Quindi, nel 58,4% festeggiato dalle forze politiche al governo, sono compresi i giovani che si prestano a lavori “meno qualificati”, i cosiddetti lavoretti.

Prosegue Brotini: «Si crea occupazione nei settori deboli: nel turismo, nel commercio e nei settori più sfruttati della logistica. Cresce il lavoro povero. Questa cosa ci deve far preoccupare perché in realtà l’Italia sta distruggendo il proprio apparato produttivo dei settori avanzati e cresce nei settori “bassi”».

Aumentano gli occupati (ricordando la definizione di “occupazione” data dall’Istat) di tutte le classi d’età, fatta eccezione dei 35-49enni, l’ossatura di un Paese. «Il lavoro si crea povero e frantumato nei settori marginali. Non a caso noi perdiamo, se uno legge i dati Istat, lavoratori nella fascia 35-49 che dovrebbe essere l’ossatura di un Paese» – continua il segretario regionale Cgil – «La cosa più grave di questo paese che non avendo una politica industriale, non decidendo su quali settori investire, fratturano e spacchettano il lavoro che c’è, reinventando i lavoratori più precari e ricattabili. In Italia stanno destrutturando il mondo del lavoro. Dal rapporto Istat emerge che su dieci nuovi posti, uno è a tempo indeterminato, nove a tempo determinato. Qui in Italia si sta creando lavoro povero, perché si lavora poche ore e perché lo si fa in settori meno qualificati».

«Questi dati dell’Istat, dovrebbero francamente farci preoccupare», conclude Maurizio Brotini, perché «siamo indietro rispetto agli altri paesi europei; perché su dieci, nove sono contratti a tempo determinato e solo uno a tempo indeterminato; perché il lavoro si crea nei settori deboli». C’è poco da festeggiare, allora.