Alzi la mano qualcuno che sappia esattamente quali siano le competenze politiche e amministrative di Sergio Pirozzi. Qualcuno ci dica esattamente quali siano i programmi politici che avrebbe intenzione di proporre nella Regione Lazio con la sua candidatura (non valgono le frasi “aiutare la povera gente”, “pretendere giustizia” o “risolvere i problemi della gente” altrimenti ognuno di noi potrebbe avere almeno un dozzina di amici pronti a scalare la presidenza del consiglio) e qualcuno ci spieghi esattamente quale sia la temperatura della sua sensibilità politica, la sua storia, il suo percorso e la sua meta (alla luce di quello che lui stesso ha dichiarato domenica a Il Messaggero: «Prima ero il sindaco montanaro inadeguato a guidare la Regione Lazio. Poi ero il candidato con i fascisti accanto. Poi sono diventato Zingarozzi, il comunista travestito da uomo di centrodestra, che vuole aiutare Zingaretti. Adesso sembra che sono di nuovo fascista, con il busto del duce anche in bagno, e i veri amici di Zingaretti mi attaccano. Domani chissà. Con me viene usato lo stesso metodo usato ossessivamente per ventiquattro anni con Silvio Berlusconi»).
Nessuno gli pone (e si pone) queste domande perché in fondo Pirozzi va bene così, in un tempo di politica che è solo una quotidiana e lunghissima trasmissione televisiva: è popolare, dicono. Eppure è popolare anche l’influenza in certi periodi dell’anno, è popolare la povertà, è popolare l’ignoranza, sono popolari le strisce pedonali, è popolare il formaggio sopra la pasta, è popolare il guardrail ma nessuno ha pensato di candidarli.
Pirozzi invece si inserisce perfettamente nell’epica superficiale dei nostri tempi: ha vissuto una tragedia (non personalmente ma ha trasmesso di essere addolorato di tutto il dolore della sua città e gli hanno creduto), ha superato la tragedia (non lui, ma personalizzando il terremoto il suo riscatto viene rivenduto come il riscatto di un territorio, benché la ricostruzione sia ancora in alto mare dalle sue parti) e s’è dimostrato forte (con il vecchio trucco della muscolosità verbale dal profumo fascista che oggi rende moltissimo). Poi ha negato fino all’inverosimile di volersi candidare così ora che s’à candidato rende l’idea di averlo fatto per “incessanti richieste” (di chi esattamente non si sa, visto che per ora è il barboncino di Storace) e infine è già passato al vittimismo («Chi teme la popolarità e la diversità rispetto alla politica tradizionale reagisce così. La mia ossessione invece è risolvere i problemi della gente del Lazio. Evidentemente chi ha solo l’ossessione dell’avversario, non è interessato ai problemi reali. Ma i cittadini ormai lo sanno», ha detto ieri) inventandosi un altro nemico immaginario.
Lo osservi e pensi che non potrà avere mai credito uno così. Poi ti guardi in giro. E temi.
Buon lunedì.