Nella regione più povera del Paese gli indigeni protestano per la visita papale, “la goccia che fa traboccare il vaso”. Il loro territorio è stato svenduto ai latifondisti e usurpato anche dalla Chiesa.

Il papa ci torna, ma l’America Latina non è più sua. Soprattutto non lo è il Cile, dove le chiese ardono, altari e croci sono in fiamme. A Temuco, capoluogo dell’Araucania, la sua presenza non è gradita. È la regione più povera del Paese, la terra dove abita il 35 per cento della popolazione Mapuche, oltre un milione e trecento mila persone. La lotta antireligiosa è cominciata, la sede apostolica è stata occupata nella Capitale, gli indigeni protestano ad oltranza.

I manifesti trovati nei pressi dei roghi a sud di Santiago dicevano questo: «Date fuoco alle chiese, papa Francesco: tu non sei benvenuto in Araucania». Per la visita del papa sono stati spesi dieci milioni di pesos, il 70 per cento vengono dalle casse dello Stato, solo il 30 per cento dal Vaticano: «Qui in Cile ci sono miseria, pedofilia, omicidi», non si può spendere tanto per una cerimonia religiosa, tuonano gli oppositori. Proteste in piazza sono previste il 17 gennaio alla base aerea di Maquehue, dove Bergoglio celebrerà la messa su una terra sottratta ai Mapuche all’inizio del XIX secolo, protetto da quattromila poliziotti. Già da tempo 50 capi mapuche hanno avvisato delle proteste: «Nessuno ha chiesto il permesso al nostro popolo per celebrare la cerimonia religiosa su quello che rivendichiamo come nostro territorio». L’aeroporto che ospiterà la funzione è stato costruito su parte dei 5 milioni di ettari usurpati dallo Stato cileno e rivenduti alle multinazionali, alle imprese, alle aziende, agli oligarchi. Proprio prima della visita del papa, è stata arrestata. Francisca Linconao, una dei leader dei Mapuche. Una misura cautelativa legata alla visita pastorale del pontefice: «La giustizia per noi verrà sempre applicata in maniera diversa» ha detto Ingrid Conojeros, una portavoce del popolo indigeno.

Le terre ancestrali dell’Araucania sono state sottratte ai Mapuche, il riconoscimento legale della loro cultura e della loro lingua non è una priorità, la discriminazione a cui sono sottoposti è comune e quotidiana. «In termini pratici, noi come popolo non esistiamo», ha detto Hugo Alcaman, presidente dell’Enama, un gruppo Mapuche che si occupa delle questioni sociali e della protezione legale di chi manifesta. «Abbiamo bisogno di negoziati», fa sapere sperando che l’attenzione internazionale per la visita di Bergoglio smuova le cose.

Il Wallmapu, l’antica nazione Mapuche, è stata distrutta e ora gli indigeni vivono nelle riserve, costretti a cedere le loro terre ai latifondisti, allo Stato, a chi ha potere e soldi per toglierle a loro. A combattere c’è anche la Wam, l’ala radicale autrice dei roghi alle chiese, che si batte per l’indipendenza e rivuole indietro la terra, anche quella usurpata dalla Chiesa. Parte di quei terreni Mapuche sono ora dell’Opus Dei, e quando furono gestiti dal vescovo di Villarica, in passato fu finanziata e aperta la Colonia Dignidad, l’enclave nazista in Cile fondata da profughi tedeschi ex SS nel 1961 che ospitò anche Mengele.

Intanto l’assedio continua per tutto il popolo Mapuche in una regione sempre più militarizzata e dove la visita di Francesco I  viene percepita come “la goccia che fa traboccare il vaso”, come ha detto il rappresentante Rolando Jaramillo. Parlare di pace in un territorio in guerra dal secolo scorso è una beffa a cui i Mapuche non rimarranno indifferenti.