Nonostante la salvifica presenza di oltre ottocentomila studenti stranieri nelle scuole italiane, c’è chi tenta di ostacolarne l’integrazione. Succede in Emilia Romagna, dove Forza Italia, in un’interrogazione al consiglio regionale, chiede che venga mappato «l’intero territorio regionale per una redistribuzione più equa degli alunni di origine straniera, evitando che un numero eccessivo all’interno delle singole classi possa causare difficoltà e rallentamenti all’intera classe, come dagli studi citati». Secondo questi signori, non si capisce in base a cosa, la performance scolastica calerebbe quando nelle classi di scuola primaria si supera la quota del 30 per cento di stranieri.

Ma tant’è: malgrado le criticità, e con buona pace degli ostili, gli studenti figli di cittadini stranieri rappresentano la componente dinamica del sistema scolastico italiano perché contribuiscono a contenere la flessione della popolazione scolare complessiva, derivante dal costante calo degli alunni italiani. E la loro vitalità non influisce solo quantitativamente, sapendo infatti integrarsi nella vita scolastica con crescenti attese di successo formativo.

Sebbene abbiano vissuti di drammatica difficoltà esistenziale, sono portatori di «forti doti di resilienza positiva con una percezione di sé e del mondo già adulta», si legge nel documento, diffuso qualche giorno fa, Una politica nazionale di contrasto del fallimento formativo e della povertà educativa, elaborato dalla Cabina di regia per la lotta alla dispersione scolastica e alla povertà educativa.

Ma ciò può contrastare con la «percezione e la maturità non raggiunte dai loro coetanei italiani», generando (all’inverso, dunque) un divario nella regolarità degli studi. Che, quanto agli studenti stranieri, è misurabile con il ritardo con cui frequentano una classe rispetto a quella che, teoricamente, sarebbe prevista per la loro età. Capita spesso, e ai minori che si ricongiungono alle famiglie, ancor di più. Ecco cosa scrive il Miur, nel rapporto Gli alunni stranieri nel sistema scolastico italiano: «Chiedono di frequentare la scuola in corso d’anno - poiché la potenziale domanda di istruzione non si manifesta esplicitamente - e non sempre possono essere accolti negli istituti scolastici per via della scadenza dei termini previsti per l’iscrizione», oppure ai giovani quindicenni «che non hanno frequentato o concluso la scuola secondaria di primo grado e potrebbero fruire della formazione presso i Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (Cpia), grazie ai recenti dispositivi normativi in materia, ma non possono farlo non avendo ancora raggiunto sedici anni».

Va da sé che l’impossibilità è tutta nel sistema perché specifici accordi regionali ne potrebbero garantire la frequenza ma risultano di non facile attuazione anche «a causa delle mancate risorse funzionali date ai Cpia stessi per assolvere a compiti di nuova complessità relativi proprio ai ragazzi in arrivo», si legge nel documento della Cabina di regia.

Sempre più spesso non accompagnati, solo una parte di questi adolescenti soli in situazione di grave fragilità, segue percorsi di istruzione o formazione considerato che, una volta arrivati, diventano sovente irreperibili, ossia non più rintracciabili nelle strutture in cui sono stati accolti, dopo l’identificazione. Nonostante il varo della legge 47/2017 recante Disposizioni in materia di misure di protezione dei minorenni stranieri non accompagnati, che all’articolo 14 stabilisce l’attivazione da parte delle istituzioni scolastiche di misure per favorire l’assolvimento dell’obbligo scolastico, “le amministrazioni interessate provvedono all’attuazione delle disposizioni nei limiti delle risorse finanziarie, strumentali e umane disponibili (…) e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, conferma la pubblicazione I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, redatta dal gruppo di lavoro per la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, e uscita di recente. E anche di fronte alla scarsità di risorse, gli alunni migranti ce la mettono tutta perché in classe nessuno sia straniero.

Nonostante la salvifica presenza di oltre ottocentomila studenti stranieri nelle scuole italiane, c’è chi tenta di ostacolarne l’integrazione. Succede in Emilia Romagna, dove Forza Italia, in un’interrogazione al consiglio regionale, chiede che venga mappato «l’intero territorio regionale per una redistribuzione più equa degli alunni di origine straniera, evitando che un numero eccessivo all’interno delle singole classi possa causare difficoltà e rallentamenti all’intera classe, come dagli studi citati». Secondo questi signori, non si capisce in base a cosa, la performance scolastica calerebbe quando nelle classi di scuola primaria si supera la quota del 30 per cento di stranieri.

Ma tant’è: malgrado le criticità, e con buona pace degli ostili, gli studenti figli di cittadini stranieri rappresentano la componente dinamica del sistema scolastico italiano perché contribuiscono a contenere la flessione della popolazione scolare complessiva, derivante dal costante calo degli alunni italiani. E la loro vitalità non influisce solo quantitativamente, sapendo infatti integrarsi nella vita scolastica con crescenti attese di successo formativo.

Sebbene abbiano vissuti di drammatica difficoltà esistenziale, sono portatori di «forti doti di resilienza positiva con una percezione di sé e del mondo già adulta», si legge nel documento, diffuso qualche giorno fa, Una politica nazionale di contrasto del fallimento formativo e della povertà educativa, elaborato dalla Cabina di regia per la lotta alla dispersione scolastica e alla povertà educativa.

Ma ciò può contrastare con la «percezione e la maturità non raggiunte dai loro coetanei italiani», generando (all’inverso, dunque) un divario nella regolarità degli studi. Che, quanto agli studenti stranieri, è misurabile con il ritardo con cui frequentano una classe rispetto a quella che, teoricamente, sarebbe prevista per la loro età. Capita spesso, e ai minori che si ricongiungono alle famiglie, ancor di più. Ecco cosa scrive il Miur, nel rapporto Gli alunni stranieri nel sistema scolastico italiano: «Chiedono di frequentare la scuola in corso d’anno – poiché la potenziale domanda di istruzione non si manifesta esplicitamente – e non sempre possono essere accolti negli istituti scolastici per via della scadenza dei termini previsti per l’iscrizione», oppure ai giovani quindicenni «che non hanno frequentato o concluso la scuola secondaria di primo grado e potrebbero fruire della formazione presso i Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (Cpia), grazie ai recenti dispositivi normativi in materia, ma non possono farlo non avendo ancora raggiunto sedici anni».

Va da sé che l’impossibilità è tutta nel sistema perché specifici accordi regionali ne potrebbero garantire la frequenza ma risultano di non facile attuazione anche «a causa delle mancate risorse funzionali date ai Cpia stessi per assolvere a compiti di nuova complessità relativi proprio ai ragazzi in arrivo», si legge nel documento della Cabina di regia.

Sempre più spesso non accompagnati, solo una parte di questi adolescenti soli in situazione di grave fragilità, segue percorsi di istruzione o formazione considerato che, una volta arrivati, diventano sovente irreperibili, ossia non più rintracciabili nelle strutture in cui sono stati accolti, dopo l’identificazione. Nonostante il varo della legge 47/2017 recante Disposizioni in materia di misure di protezione dei minorenni stranieri non accompagnati, che all’articolo 14 stabilisce l’attivazione da parte delle istituzioni scolastiche di misure per favorire l’assolvimento dell’obbligo scolastico, “le amministrazioni interessate provvedono all’attuazione delle disposizioni nei limiti delle risorse finanziarie, strumentali e umane disponibili (…) e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, conferma la pubblicazione I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, redatta dal gruppo di lavoro per la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, e uscita di recente. E anche di fronte alla scarsità di risorse, gli alunni migranti ce la mettono tutta perché in classe nessuno sia straniero.