Si parla quasi unicamente del Niger ma nel 2018 sono ben 46 le missioni nel mondo in cui verranno impegnati militari italiani. Per una spesa prevista di oltre un miliardo di euro. Tra gli interventi finanziati c’è anche l’Afghanistan. Nel 2015 l’allora premier Renzi disse che ce ne saremmo andati nel giro di un anno

Oltre un miliardo e cento milioni. Tanto costeranno al contribuente italiano le missioni militari nel 2018, per un impiego previsto di circa 6.700 soldati, 1.149 mezzi terrestri, 45 aerei e 20 navi. Non solo in Niger, dunque. Ma anche Iraq, Palestina, Libia, Libano. E poi Lettonia, Bulgaria, Cipro, Kosovo. Per un totale di 46 missioni (sei delle quali verranno inaugurate a partire proprio da quest’anno).
Uno «sforzo necessario». Almeno secondo il governo Gentiloni che, come si legge negli atti visionati da Left, nota: «Lo scenario strategico di riferimento per gli interventi internazionali si conferma complesso, in rapida e costante evoluzione, instabile e caratterizzato da un deterioramento complessivo del quadro della sicurezza». Non è un caso che il presidente del Consiglio, nell’annunciare a fine 2017 la missione in Niger, abbia parlato dell’esigenza di contrastare il terrorismo. Peccato che, nelle schede di autorizzazione, non si faccia alcun riferimento a Daesh o altre organizzazioni, ma si parli più genericamente della necessità di «supportare, nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area e il rafforzamento delle capacità di controllo del territorio (…) le Forze di sicurezza nigeriane». Insomma, il dubbio è che i nostri militari, come sottolineato anche da Luciana Castellina nell’intervista rilasciata su Left (n.1 del 6 gennaio), «saranno gestiti da un noto dittatore, il presidente del Niger» per altri fini rispetto a quelli umanitari (a cominciare dall’interesse francese relativo all’uranio, di cui è ricco il Paese), col rischio che i migranti restino confinati nei centri in Libia. Tanti e inquietanti punti di domanda, dunque…

L’inchiesta di Carmine Gazzanni prosegue su Left in edicola


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