La memoria non si commemora. non basta. La memoria si esercita: si esercita riconoscendone i tratti nel mondo che ci circonda, si esercita declinandola in altri tempi e in altri luoghi come se fosse sempre nuova, si esercita tenendo levigato il rigore morale, si esercita allungando il muscolo della curiosità.
Forse con una memoria ben allenata non ci saremmo persi questo 27 gennaio, mentre commemoravamo la memoria di quello che fu, non accorgendoci che una donna bruciata nel ghetto è stata qui, da noi, proprio nella notte tra venerdì e sabato a San Ferdinando, pochi passi da Rosarno. Auschwitz nel 2018 è in provincia di Reggio Calabria. Ma l’indifferenza non fa scalpore.
Becky Moses aveva ventisei anni e aveva trovato rifugio nel ghetto da appena tre giorni. Avrà pensato che era una bella fortuna trovare un po’ di ristoro dal freddo, in mezzo ad altra gente, con un tetto sulla testa anche se fatto di niente. Era stata ospite di un centro d’accoglienza, aveva una casa e stava imparando un mestiere: da quando è arrivata due anni fa dalla Nigeria (c’è bisogno davvero di ricordare cosa subiscano le donne, in Nigeria? No, vero?), fino a qualche settimana fa, quando ha ricevuto il rifiuto alla sua richiesta di asilo politico. Ha dovuto cercare un riparo. Alcuni suoi connazionali l’hanno ospitata nel ghetto. L’incendio dei giorni scorsi non le ha dato scampo.
Il ghetto di Rosarno, tra l’altro, meriterebbe anche lui una di quelle pompose giornate alla memoria che piace tanto ai sepolcri imbiancati. È stato “scoperto” dall’opinione pubblica quasi dieci anni fa per la rivolta dei braccianti sottopagati che dormono lì. Ed è sempre lì.
Il fumo dal camino nel 2018 ha l’odore della plastica che si fa cenere per un braciere acceso per scaldarsi. E ha l’odore di Becky Moses.
Buon lunedì.