Più di 300 persone sono state arrestate dalle autorità turche per aver criticato sui social media l’offensiva ad Afrin in Siria. È accaduto solo un giorno dopo che il presidente turco Erdogan ha accusato i medici che si oppongono alla campagna militare di “tradimento”, di essere “sudici, amanti del terrorismo”. Il giudice che si occupa della vicenda ha ordinato che gli 11 membri del Ttb, associazione medici turchi, che avevano apertamente denunciato l’operazione in corso ad Afrin, venissero arrestati.
L’avvocato dell’associazione, Ziynet Ozcelik, ricorda che il loro messaggio, – quello che gli è costato la detenzione e l’accusa di tradimento – , era semplice: “no alla guerra, pace immediata. Siamo membri di un ordine professionale che ha giurato di prendersi cura della salute della gente, ricordiamo che sostenere la vita e la ricerca della pace è nostro dovere primario. Ogni scontro, ogni guerra, causa problemi fisici, psicologici, ambientali alla salute e tragedie umane. Il modo per contrastare la guerra è difendere la vita pacifica, egualitaria, democratica. No alla guerra, pace subito”.
Mentre i turchi avanzano nell’enclave curda in Siria e a Sochi cominciano i colloqui di pace sotto egida russa, da Ankara alle province, la polizia di Erdogan ha dato il via alle operazioni di ricerca e detenzione. Giro di vite per la Siria anche fuori dalla Siria: i quattro giornalisti turchi Hayri Demir , Nurcan Baysal, Ihsak Karakas, Sibel Hurtas, sono stati arrestati nei giorni scorsi in varie zone del Paese, anche loro dopo aver criticato l’incursione. Il CPJ, il Comitato protezione giornalisti, ha condannato l’ultimo capitolo “dell’attuale saga dei tentativi turchi di censurare la copertura delle azioni militari e politiche”, la Turchia “intimidisce i giornalisti, il governo non può arrestarli solo perché non ama i loro editoriali”.
Mentre i missili cadono sulle milizie curde siriane – “ramo d’ulivo” è il nome scelto dall’esercito turco per l’operazione che ha avuto inizio dieci giorni fa – le autorità di Ankara ordinano l’arresto di tutti quelli che osano criticare o si oppongono all’incursione: sono 311 le persone che hanno le manette ai polsi per “aver diffuso propaganda terroristica” sui social media nell’ultima settimana. Tra di loro ci sono attivisti, reporter, politici. La loro accusa è simile a quella rivolta ai medici: “provocazione pubblica e propaganda a favore di un’organizzazione terroristica”.
Gli attivisti, i medici, i cittadini che chiedono pace per Erdogan sono “servi dell’imperialismo, una gang di schiavi, non intelligenti per niente, questo no alla guerra è nient’altro che il tradimento delle loro anime”, come ha detto ad una manifestazione nella provincia di Amasya. Ahmet Demircan, ministro della Salute, ha detto che i medici “hanno fatto un grande errore, le azioni necessarie verranno prese secondo la legge”. Intanto si è mobilitata la Wma, World medical assotiation, che riunisce 111 associazioni mediche mondiali, per condannare gli arresti con una dichiarazione: “chiediamo alle autorità turche l’immediato rilascio dei medici e la fine della campagna intimidatoria contro di loro”.
Sono centinaia i no alla guerra della società civile turca: 170 artisti hanno sottoscritto una lettera pubblica per chiedere l’immediata fine dei bombardamenti. Il no si leva in coro dagli ospedali da campo fino ai campi di calcio. Adesso anche Deniz Naki è stato bandito dalla TFF, la Federazione calcistica turca. L’atleta aveva incoraggiato le persone a partecipare alle proteste contro Ankara a Colonia, condividendo un video sui social media, rivolto ai curdi e non curdi che abitano in Germania, per mettere fine all’operazione ad Afrin,. La condanna è stata immediata, la pena è una multa di 273mila lire turche e un divieto di gioco che durerà tre anni e sei mesi per “propaganda ideologica separatista”.