Il “cane a sei zampe” si muove agilmente sul complicato fronte delle estrazioni nel Mediterraneo, tra il bacino egiziano di Zohr, Cipro, Libano e Israele. Indifferente alle minacce, possiede importanti concessioni di governi che non si fanno problemi a violare i diritti umani

C’è un filo conduttore che collega Egitto, Cipro, Turchia e Libano: l’Eni. L’azienda energetica italiana è sempre più protagonista nell’area orientale del Mediterraneo dove, indifferente alle violazioni dei diritti umani dei Paesi regionali o al complicato scacchiere geopolitico, possiede importanti concessioni di giacimenti di gas. Uno di questi è quello di Zohr in Egitto, grande 100 chilometri quadrati con un potenziale di oltre 850 miliardi di metri cubi di gas (circa 5,5 miliardi di barili di greggio equivalente) e per il quale l’Eni ha una quota di partecipazione del 60%. Scoperto nell’agosto del 2015 nel blocco di Shourouk, a circa 190 chilometri a nord di Port Said, secondo gli esperti del settore Zohr trasformerà il panorama energetico egiziano permettendo al Cairo di diventare autosufficiente e di trasformarsi da importatore di gas naturale in futuro esportatore.

Una bella notizia per il regime brutale di al-Sisi che, lacerato da una profonda crisi economica, soggetto a ripetuti attacchi jihadisti (soprattutto nel Sinai), può ora tirare un sospiro di sollievo e parlare di «successo». Un successo non soltanto economico, ma anche diplomatico. Al-Sisi lo sa bene: lo scorso 31 gennaio, quando Zohr è stato inaugurato, il presidente ha colto l’occasione per ribadire all’Ad del “cane a sei zampe” Claudio Descalzi come «i rapporti tra Italia ed Egitto siano ottimi nonostante qualcuno li abbia voluti rovinare» con l’uccisione di Giulio Regeni avvenuta due anni fa.

Una dichiarazione che sarà suonata superflua alle orecchie del dirigente dell’Eni che ha continuato a fare affari con il Cairo regolarmente, nonostante i depistaggi e le bugie egiziane sugli ultimi giorni di vita del ricercatore italiano. Descalzi ha annuito sottolineando come il maxi-giacimento sia il frutto di un «matrimonio di lunghissima data» tra l’Egitto e l’azienda italiana. Una relazione così solida che neanche la brutale uccisione di Regeni e le relative responsabilità del regime poteva interrompere. Gli affari sono affari, dopo tutto.
Se il gas sancisce l’alleanza di ferro tra Roma e il Cairo, diverso è lo scenario che si presenta…

L’articolo di Roberto Prinzi prosegue su Left in edicola


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