Alla fine dei conti, può anche andare bene così. Dopo la sconfitta elettorale bruciante che ha ridotto ai minimi storici la sinistra parlamentare si presenta un’occasione unica, fertile, di coraggio e chiarezza. Di “purezza”. Azzerare tutto. Azzerare modalità, aspettative, buon senso, quieto vivere, attendismo e indifferenza per la sorte delle nostre vite, per quella del bene comune. E riprendere il filo, quel filo rosso dell’utopia e della politica, della cultura e dell’attivismo, dell’interessarsi di tutto ciò che ci accade intorno, senza delegare giudizi e senso critico. Lo diceva tanti anni fa un grande innovatore del teatro contemporaneo, Leo de Berardinis: azzerare tutto, fare in modo che l’arte respiri, che dal deserto rinasca il fiore della verità. Solo così – aggiungeva – il teatro avrebbe ritrovato se stesso e il senso del suo valore profondo. La stessa occasione si offre oggi alla sinistra. A tutto quello che rappresenta nei cuori e nella volontà di chi continua a credere e a battersi per un mondo diverso.
Niente era imprevedibile
Che cosa turba di questo voto, dell’ondata che i media definiscono anti-sistema, del Sud e della Sardegna a Cinque stelle o dell’affermazione di un livore che sotterraneo ha trovato voce e forza in Salvini anche in territori che abbiamo sempre pensato democratici e tolleranti? Tutto ci turba. Eppure niente di tutto questo era imprevedibile. Lo era forse per le segreterie dei partiti, o di quello che resta dei partiti, per i giornalisti dei media tradizionali che ignorano il mondo che raccontano, perché non lo frequentano. Non prendono mezzi pubblici, treni dei pendolari. Non rinunciano allo status e quello status li rende testimoni poco attendibili del tempo.
Niente era imprevedibile. Il voto ha fotografato il Paese per quello che è, per quello che esprime, nella scissione potente tra le fatiche quotidiane delle persone e la rappresentanza politica, tra realtà e narrazione mediatica della realtà. Tra la vita di ognuno di noi e il racconto un po’ tossico, taroccato, che avvertiamo nell’aria. Mentre tutto intorno, quello che viviamo è disagio. Senza vie di uscita se non la rabbia e l’ululato. Risentimento senza coscienza. Senza quel valore politico popolare che lo trasforma in potenziale cambiamento. La società in questi anni si è lentamente trasformata in una collettività cieca, obbediente nel mantenere e aumentare i propri squilibri a proprio discapito. Era davanti agli occhi di tutti.
Riprendere il filo rosso
Per questo, agendo nella democrazia, occorre ripartire dai paradossi della società: dalle strade, dai quartieri, dalla difesa del bene comune contro l’arbitrio dell’interesse privato che scatena le guerre tra poveri e riduce i cittadini in utenti o sudditi. Per ricostruire l’idea di sinistra partendo dall’esperienza innovativa, semplice e interessante, di Potere al popolo, con lo sguardo forte e movimentista. Partendo dall’agire sul territorio dei volontari di Liberi e uguali («… una sinistra distrutta, un centrosinistra dissolto. È un dolore persino fisico per tanti di noi. Richiede rispetto e forse anche un po’ di silenzio. Faremo tutte le analisi che servono, guardandoci negli occhi, senza sconti, senza risparmiarci nulla. Poi dovremo riuscire a non ripeterli, a rispettare questo voto, a rimetterci in viaggio con umiltà. Dobbiamo iniziare a capirlo davvero, questo Paese, se vogliamo cambiarlo e renderlo migliore». Gessica Allegni di Leu). Partendo dall’energia di chi è nella base del Pd (o ha scelto di virare su M5s) e crede nel cambiamento, nella difesa dell’ambiente e nei diritti per tutti. E ce ne sono tanti che pensano che un altro mondo sia possibile e che la rappresentanza politica debba scaturire dalla lotta, dall’azione sui territori, da una diversa narrazione. E non da altro.
Tagliare i nodi invisibili dell’obbedienza
Occorre cancellare passo dopo passo quel fascismo senza storia che affonda le sue radici nella stupidità servile degli “indifferenti”, di chi non vede oltre la propria ombra e confonde la libertà con la licenza di berciare contro tutto, senza mai comprendere niente. Contro questo capolavoro delle classi dominanti è necessario lavorare. Con pazienza e tenacia. Con coraggio. Con la profondità dell’analisi e la dolcezza della convivialità umana. Rovesciando – perché occorre essere sovversivi – l’idea malsana che occorrano solo forza, superficialità da slogan veloce televisivo e conformismo. Sottraendosi dalle spire mediatiche che spingono a pensare che destra e sinistra pari sono. Invece no.
La destra è destra perché ritiene l’ingiustizia sociale la base filosofica sulla quale basare il diritto del più forte sul più debole. E declinando il concetto: dell’uomo sulla donna, del bianco sul nero, dell’inquinatore sugli straccioni che ne subiranno gli effetti, del costruttore seriale sul cittadino indifeso, del cementificatore sulla natura. La destra è destra perché se usa l’olio di ricino lo fa per il decoro e per il padrone. Se bastona in piazza lo fa per la disciplina. Se reprime lo fa per l’ordine. Altrimenti non sarebbe quello che è, in difesa di un sistema di valori in cui la miseria di molti è necessaria per il bene di pochi e per la stupidità interpretativa di tanti.
La sinistra è sinistra se agisce contro il sistema di valori della destra, se opera per cambiare un mondo. Se studia, se comprende i punti vitali sui quali agire nel tempo. Frenando la crescita senza fine, bloccando la speculazione e il consumo del suolo agricolo, la devastazione del patrimonio artistico e culturale, ricominciando a coltivare cultura. Pensando un’idea di rinascita rurale, riaccendendo le speranze, perché se il mondo è buio, si perderà la bellezza, governerà solo la paura. Oggi è così e sembra ineluttabile. Però la storia ci insegna che c’è qualcosa di più. Ci sono tutti quelli che non si arrendono e mentre leggono, camminano, difendono un albero da un abbattimento o un indifeso da un sopruso, la costruiscono la storia.