Su un treno che correva veloce verso Pechino, partito da Ningbo, Cina est, il libraio Gui Minhai è stato arrestato di nuovo, il 20 gennaio, davanti agli occhi dei due diplomatici svedesi che viaggiavano con lui. Adesso Minhai, doppia cittadinanza, cinese e svedese, non potrà ora essere visitato dal medico, nonostante le gravi condizioni di salute.
Gui è solo uno dei cinque librai spariti da Hong Kong tra il 2015 e il 2016 e poi ricomparsi in territorio cinese, in arresto: dagli scaffali di carta, alle sbarre di ferro. Per certe storie d’inchiostro, la pena cinese è la prigione. I librai sono tutti detenuti nei penitenziari cinesi, per “commercio illegale di libri”. In comune avevano questo: vendevano storie di carta sgradite a Pechino e parlavano del potere del Partito in Cina.
È per questo che la ministra degli Esteri svedese, Margot Wallstrom, ha definito il comportamento delle autorità inammissibile: «L’azione cinese è inaccettabile, rende nulle le assicurazioni fatte in precedenza, secondo cui il nostro cittadino aveva il permesso di vedere un medico svedese. Chiediamo che sia liberato per riunirsi a sua moglie e sua figlia». Secondo il portavoce del ministero degli Esteri cinese, invece, Gui è in salute, «è sano, mentalmente e fisicamente», come avrebbero confermato i medici cinesi.
Gui Minhai era già stato arrestato mentre era in vacanza in Thailandia, nel 2015, ed era uscito dalla prigione cinese solo lo scorso ottobre. «Non è il primo cittadino europeo erroneamente detenuto in Cina, ma speriamo sia l’ultimo» hanno scritto in una lettera indirizzata al presidente Xi Jinping alcuni politici europei che ne hanno richiesto «l’immediato e incondizionato rilascio». Ma non hanno ottenuto né risultato, né risposta.