In uno strano mix tra progettazione culturale e consumismo nella megalopoli cinese è boom di spazi dedicati non solo ai libri ma anche al teatro, a performance, laboratori artigianali e moda. Luoghi dove il mondo digitale incontra quello cartaceo

Quando nel 2003 Qidian.com (China Reading) lanciò il primo portale cinese di lettura online a pagamento, solo pochi ne avevano intuito la natura rivoluzionaria. A distanza di quindici anni, il mercato delle pubblicazioni in rete ha raggiunto un valore di 9 miliardi di dollari, confermando un tasso di crescita annuo del 20 per cento. Nel frattempo, China Literature Ltd. – sussidiaria del colosso tecnologico Tencent a cui è affiliata Qidian – è sbarcata a Hong Kong raccogliendo oltre un miliardo di dollari in quella che si è rivelata l’offerta pubblica iniziale più redditizia degli ultimi 10 anni sulla borsa dell’ex colonia britannica. Ma sorge una domanda: con oltre 10 milioni di titoli a portata di click, chi avrà mai più la voglia di entrare in libreria? Secondo un sondaggio della Chinese academy of press and publication (Capp), nel 2016, il 33,8% dei cinesi ha letto testi online, contro un 51,6% ancora fedele alla carta stampata – tanto per avere un’idea, negli Stati Uniti solo il 28% degli americani si avvale di testi digitali. Con il risultato che nel 2016, le vendite al dettaglio sono diminuite del 2,33% su base annua. A ciò si aggiunga la limitata propensione dei cinesi per la lettura: stando alle stime dei media governativi un adulto legge mediamente meno di otto libri l’anno (4,58 cartacei e 3,26 in formato elettronico), dedica alla lettura 15 minuti al giorno (contro i quasi 100 trascorsi davanti alla tv e i 45 su internet), ed è disposto a spendere attorno ai 14 yuan per un testo di 200 pagine, circa 2 euro, ovvero la metà di quanto costa un Frappuccino da Starbucks. Tanto che mentre la multinazionale americana continua a estendere il proprio impero cinese, le librerie sono state costrette a stringere la cinghia.

Secondo la All-China federation of industry and commerce, tra il 2000 e il 2012 (l’anno peggiore in termini di vendite), l’ascesa degli e-book ha corrisposto alla chiusura di circa la metà dei negozi fisici. Tra le vittime, persino Xinhua Bookstore, la più grande catena nazionale (rigorosamente statale) che deve il suo logo a un esercizio calligrafico di Mao Zedong. Da quando è stata fondata 80 anni fa, ha raggiunto un picco di 17mila punti vendita salvo poi assestarsi su cifre ben più contenute. Strana sorte per il Paese che ha inventato la carta e la stampa a caratteri mobili. C’è chi tuttavia intravede nella morte del settore lo spunto per una nuova rinascita. Complice l’aumento del potere d’acquisto di una classe media in rapida ascesa. Secondo la Capp, sempre più case editrici stanno aprendo nuove librerie, mentre molte di quelle già esistenti nei campus universitari si stanno …..

L’articolo di Alessandra Colarizi prosegue su Left in edicola


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