«Forse avrei dovuto fare di più per dissuaderla, ma non mi avrebbe mai perdonato. Non ho provato a influenzare il suo destino, questa era la cosa più importante della sua vita». Sapeva che forse sarebbe morta, ma era comunque fiero di lei. E non ha provato a fermarla. Ora Dirk Campbell, il padre di Anne Campbell, ha detto alla radio della BBC di essere “in pieces”, a pezzi. Sua figlia aveva libertà, una perfetta faccia british, capelli biondi ed occhi chiari, una casa comoda nel sud del Regno Unito.
Era una femminista britannica di 26 anni. Una che «non sopporta le ingiustizie, le piaghe dei deboli, vulnerabili, dei senza potere, una che aveva trovato idealismo nell'utopia meravigliosa del Rojava». Chi era Anne oggi lo spiega suo padre, i suoi amici, qualche scritta sul muro, dal Kurdistan a Lewes, Sussex orientale, la sua città natale, dove c'è scritto “Anna Campbell è immortale”.
Era andata a combattere contro l'ISIS tra le file delle soldatesse curde dello YPG nel maggio 2017 . È morta quasi un anno dopo, il 15 marzo scorso, durante l'operazione “ramo d'ulivo” dei soldati di Erdogan, in Siria, ad Afrin, dopo aver pregato la comandante della sua unità femminile dello YPJ di farsi spedire al fronte. La comandante non era d'accordo: le donne occidentali sono il primo bersaglio di jihadisti ed esercito turco. Eppure Anne aveva continuato ad insistere.
Nelle ultime immagini che si hanno di lei, stringe tra le mani il suo kalashnikov, sulla spilla gialla in petto c'è il volto di Ocalan. In un video registrato prima della sua morte, con i capelli più scuri, in divisa, Anne, battezzata dai curdi con il nome di guerra Helin Qerecox, dice di essere felice di andare con tanti compagni coraggiosi a combattere in memoria di quelli che erano già stati uccisi. Perché viviamo in «un mondo di oppressione patriarcale, di sfruttamento brutale». La rivoluzione del Rojava, secondo Anne, incarnava «lo spirito della resistenza, parte della lotta per gli oppressi contro il capitale e il patriarcato».
Il Guardian scrive che quella giovanissima concittadina aveva ancora «quell'idea di fare la differenza, quella che per la cultura contemporanea è assurda». Eppure «Byron è andato a liberare la Grecia, gli studenti hanno partecipato alla guerra civile spagnola, certi giovani escono dalla loro confort zone, per trovare una causa per cui valga la pena combattere, è quello che giace profondamente nell'anima umana».
«Non vi abbandonerò, il mio governo e il mondo occidentale vi hanno lasciato soli contro il secondo esercito più grande della NATO» ha detto prima di morire Anne ad Ilham Ahmed. Il giornalista aveva tentato di dissuaderla, per non farla andare al fronte: «Abbiamo bisogno di te qui, invece, per far arrivare la storia ai media britannici«. Anne Helin Qerecox ha risposto: «Il mio paese non dà niente oltre che parole, io sono qui per darvi la mia azione».
«Forse avrei dovuto fare di più per dissuaderla, ma non mi avrebbe mai perdonato. Non ho provato a influenzare il suo destino, questa era la cosa più importante della sua vita». Sapeva che forse sarebbe morta, ma era comunque fiero di lei. E non ha provato a fermarla. Ora Dirk Campbell, il padre di Anne Campbell, ha detto alla radio della BBC di essere “in pieces”, a pezzi. Sua figlia aveva libertà, una perfetta faccia british, capelli biondi ed occhi chiari, una casa comoda nel sud del Regno Unito.
Era una femminista britannica di 26 anni. Una che «non sopporta le ingiustizie, le piaghe dei deboli, vulnerabili, dei senza potere, una che aveva trovato idealismo nell’utopia meravigliosa del Rojava». Chi era Anne oggi lo spiega suo padre, i suoi amici, qualche scritta sul muro, dal Kurdistan a Lewes, Sussex orientale, la sua città natale, dove c’è scritto “Anna Campbell è immortale”.
Era andata a combattere contro l’ISIS tra le file delle soldatesse curde dello YPG nel maggio 2017 . È morta quasi un anno dopo, il 15 marzo scorso, durante l’operazione “ramo d’ulivo” dei soldati di Erdogan, in Siria, ad Afrin, dopo aver pregato la comandante della sua unità femminile dello YPJ di farsi spedire al fronte. La comandante non era d’accordo: le donne occidentali sono il primo bersaglio di jihadisti ed esercito turco. Eppure Anne aveva continuato ad insistere.
Nelle ultime immagini che si hanno di lei, stringe tra le mani il suo kalashnikov, sulla spilla gialla in petto c’è il volto di Ocalan. In un video registrato prima della sua morte, con i capelli più scuri, in divisa, Anne, battezzata dai curdi con il nome di guerra Helin Qerecox, dice di essere felice di andare con tanti compagni coraggiosi a combattere in memoria di quelli che erano già stati uccisi. Perché viviamo in «un mondo di oppressione patriarcale, di sfruttamento brutale». La rivoluzione del Rojava, secondo Anne, incarnava «lo spirito della resistenza, parte della lotta per gli oppressi contro il capitale e il patriarcato».
Il Guardian scrive che quella giovanissima concittadina aveva ancora «quell’idea di fare la differenza, quella che per la cultura contemporanea è assurda». Eppure «Byron è andato a liberare la Grecia, gli studenti hanno partecipato alla guerra civile spagnola, certi giovani escono dalla loro confort zone, per trovare una causa per cui valga la pena combattere, è quello che giace profondamente nell’anima umana».
«Non vi abbandonerò, il mio governo e il mondo occidentale vi hanno lasciato soli contro il secondo esercito più grande della NATO» ha detto prima di morire Anne ad Ilham Ahmed. Il giornalista aveva tentato di dissuaderla, per non farla andare al fronte: «Abbiamo bisogno di te qui, invece, per far arrivare la storia ai media britannici«. Anne Helin Qerecox ha risposto: «Il mio paese non dà niente oltre che parole, io sono qui per darvi la mia azione».