Dopo le proteste del 1 aprile e le decine di vittime anche tra i civili, gli studenti tornano in strada nella città di Srinagar. La dimostrazione della grave situazione in cui si trova la regione asiatica contesa da India e Pakistan con decine di migliaia di morti civili dal 1990 a oggi

Fuoco, polvere e lacrimogeni in Kashmir. Nuovi scontri tra gli studenti e la polizia indiana nella città di Srinagar. Pietre, canti per l’indipendenza della loro terra e slogan anti-indiani, dopo il primo aprile, il giorno più sanguinoso degli ultimi mesi: gli studenti universitari sono tornati a marciare per le strade dei distretti meridionali contro il governo indiano ed induista. La loro terra rimane in bilico nella disputa tra New Delhi e Islamabad.

Il primo giorno d’aprile 3 soldati indiani, 13 combattenti separatisti, 5 civili hanno perso la vita negli scontri a Shopian, nei villaggi di Dragad e Kachdoora. Dopo questo spargimento di sangue, gli esami sono stati rimandati e le università e scuole sono state chiuse. È stato un tentativo del governo centrale per mettere fine alla protesta degli studenti, ma il 5 aprile i ragazzi sono ritornati per strada con pietre e bandiere dopo una settimana di tensioni. Le dimostrazioni contro l’esercito indiano infatti dopo il 1 aprile sono state di massa e diffuse nel territorio, decine di persone sono rimaste ferite. Da quando il comandante dei ribelli Burhan Wani è stato ucciso nel 2016, 200 separatisti sono morti nelle operazioni dei militari indiani nella polveriera del Kashmir del sud.

La regione a maggioranza musulmana è una delle più militarizzate del mondo, contesa da India e Pakistan, sin dall’indipendenza dalla Gran Bretagna, arrivata nel 1947. I ribelli separatisti hanno cominciato a combattere contro il potere indiano nel 1989, per l’indipendenza della loro terra. Sia il Pakistan che l’India rivendicano il territorio himalayano e hanno combattuto tre guerre nella regione montuosa. Dal 1990, decine di migliaia sono le vittime, perlopiù civili.