Malgrado l’attenzione dei media si sia concentrata sul flusso migratorio dell’ultimo biennio, la politica e l’opinione pubblica dalla questione rom, l’antiziganismo è purtroppo molto presente, in chiave razzista, nella società italiana. I 148 insediamenti formali, sparsi in 87 comuni italiani, rappresentano la più evidente cartina di tornasole di un pensiero comune, esemplato e incoraggiato dal linguaggio dei politici.
Ha scritto in un tweet il leader della Lega, Matteo Salvini, a commento degli scontri avvenuti tra alcuni abitanti del campo di via Gordiani a Roma e gli agenti della polizia, intervenuti ad arrestare un abitante dell’insediamento: “Questi zingari lavorano anche a Pasqua. Ho pronta una democratica e pacifica ruspa”.
Dal 2012 a oggi, a parte qualche tenue tentativo di amministrazioni virtuose di superare il sistema dei campi, sono stati spesi 82 milioni di euro per mantenerlo.
Una cifra e una politica che stridono con gli impegni dettati dalla Strategia Nazionale di Inclusione dei rom, presi dal governo italiano davanti all’Europa. E mai mantenuti. E poco o nulla smuove la Giornata internazionale dei Rom, Sinti e Caminati che si celebra ogni anno l’8 aprile. A parte il presidente Mattarella, gran parte delle istituzioni e amministrazioni locali continuano a fare finta di nulla. Tanto che, ancora nel 2017, la situazione rimane immutata: scarsa esistenza e incidenza di strumenti per l’implementazione della strategia e una debole volontà politica hanno disatteso la sfida di andare oltre i campi monoetnici. Con il risultato di ricreare ciò che doveva essere superato.
E, così, anche nel 2017, per l’assenza di meccanismi di coordinamento e di monitoraggio (e per la carenza di un reale interesse all’inclusione) si è assistito al rifacimento, al mantenimento e alla costruzione di nuovi insediamenti per soli rom. Tra il 2012 e il 2017, nuove costruzioni alloggiative sono sorte tra Milano, Carpi, Merano e Moncalieri per ‘sistemare’ circa 240 persone; due a Pistoia e Roma, in cui è stato, anche, inaugurato un centro di accoglienza per soli rom, circa mille, proponendo una realtà (ghettizzante) unica in Europa, dove, al contrario, “le città stanno procedendo verso politiche di opportunità e integrazione: il tempo delle misure speciali, segreganti e discriminanti è definitivamente scaduto”, ha spiegato Tommaso Vitali docente dell’Università Sciences Po, intervenuto al dibattito, tenutosi in Senato, per la Celebrazione della giornata internazionale rom e sinti, e durante il quale è stato presentato il Rapporto annuale 2017, redatto dall’Associazione 21 luglio.
E, invece, nel Belpaese (dei campi), alla costruzione di nuovi insediamenti autorizzati corrispondono altrettante operazioni di sgombero forzato, condotte in modo discrezionale dalle autorità locali, in deroga alle tutele procedurali previste dal diritto internazionale. E che, soprattutto, non producono mai l’effetto di sanare l’inadeguatezza dell’alloggio, ottenendo l’esito opposto: replicarla altrove. Cosicché, in tutta Italia nel 2017, ne sono state eseguite 230 – 33 solo a Roma e 25 a Milano -, generando un riversamento degli abitanti di origine rom dalle baraccopoli informali ai microinsediamenti spontanei.
Sta di fatto che, a fronte di un totale stimato compreso fra le 120 e le 180mila presenze di cittadini rom e sinti, 26mila sono quelli in emergenza abitativa, di cui 16.400 (e il 43 per cento ha cittadinanza italiana) collocati in insediamenti autorizzati e 9.600, originari dell’ex Jugoslavia e per il 30 per cento a rischio apolidia, sistemati in baraccopoli informali.
Marginalizzazione spaziale e condizioni abitative al di sotto degli standard provocano ricadute a cascata nel mancato riconoscimento degli altri diritti umani e della loro identità. Perciò è necessario “un atto di riconoscimento di molte vite fatte di sofferenza e di tenuta morale, cioè di due elementi che raramente vengono accostati all’esistenza di rom e sinti perché la sofferenza viene interpretata, a volte, quasi fosse un dato antropologico e genetico e la forza morale, semplicemente, viene loro negata per lasciare spazio a quella che, così diffusamente, si propone come vera e propria riprovazione morale. E, come noto, quando si attua un meccanismo di riprovazione morale siamo al primo passo di un dispositivo che porta all’ostracismo. Che, tra le sue conseguenze, certo di minoranza estrema, può far immaginare il pogrom, cioè una volontà di sterminio”, ha dichiarato il direttore dell’Unar, già presidente della Commissione diritti umani del Senato, Luigi Manconi, intervenuto al dibattito. Quella volontà che manca, piuttosto, di superare un pensiero palesemente discriminatorio.