Sono tracciati in ogni loro movimento. Il datore di lavoro ha un controllo totale sugli orari e può modificarli senza preavviso. Se qualcuno di loro ha dei problemi fisici si sente rispondere dal suo responsabile che gli dispiace ma non può fermarsi. Ovviamente non c’è nessun diritto alla malattia. Se qualcuno di loro risulta troppo lento può capitare che si senta dire “sei lento, sei più lento delle femminucce”. Non timbrano ma devono fare il “login” all’interno dell’app. I padroni delle aziende per cui lavorano si sforzano di convincerci di avere “inventato” un lavoro “agile e con il sorriso” mentre invece i fattorini fanno uno dei mestieri più antichi del mondo.
Sono dipendenti nel senso 2.0: dipendono in tutto e per tutto dall’algoritmo e dalle decisioni dei capi (che incitano la delazione interna in cambio di un progresso di carriera) ma non hanno diritti. I nuovi dipendenti della “new economy” (su cui anche una certa sinistra sembra avere perso il senso della misura) sono allevati così bene che trovano incredibile rivendicare diritti.
Così ieri i sei rider di Foodora che sono stati “licenziati” (ma non è un licenziamento vero, perché non è un lavoro vero, secondo la legge) dopo avere protestato per la paga troppo bassa in tribunale a Torino hanno capito che la simpatia e la disponibilità non hanno valore legale. E chissà che qualcuno oggi non cominci a pensare che per questo servirebbero contratti seri con diritti seri e magari anche intermediari (quei sindacati che oggi quasi tutti osteggiano) che vigilino sui rapporti di lavoro. E chissà che magari anche qui da noi la politica cominci a rendersi conto (a destra e a sinistra) che quando qualcuno parla di “nuove professioni” è urgente fare due cose subito subito: capire che non siano le vecchie professioni travestite con meno diritti e, in caso contrario, sapere che servono nuove leggi. Politica, appunto.
Buon mercoledì.