Compie un anno la Minniti Orlando che criminalizza alcune categorie di persone per il solo fatto di essere particolarmente svantaggiate. L’osservatorio Meno di zero ha censito migliaia di provvedimenti di espulsione di poveri, stranieri, barboni, prostitute dai centri cittadini

Non solo spacciatori, ma anche persone che chiedono l’elemosina, ubriachi, prostitute o senzatetto i cerca di un giaciglio. In virtù del decreto Minniti Orlando sulla “sicurezza urbana” – convertito in legge il 17 aprile 2017 – queste categorie di persone si sono rapidamente trasformate, agli occhi dello Stato, da esseri umani in difficoltà, da sostenere, in nemici giurati dell’ordine pubblico e del decoro, da far sparire il più possibile dai centri urbani, dagli sguardi di chi passeggia davanti le vetrine delle nostre città. Per farlo, è stata data carta bianca ai sindaci. Via libera quindi alla modifica dei regolamenti di polizia urbana, per poter comminare tempi rapidi provvedimenti di allontanamento e sanzioni a chi è considerato complice del degrado. In che modo? Anche solamente stazionando in alcune “zone rosse”, individuate dai sindaci.

E così, moltissime amministrazioni hanno colto la palla al balzo, da quelle di centrosinistra a quelle di centrodestra, senza soluzione di continuità. Come testimoniano i dati raccolti grazie al paziente impegno di Meno di zero, l’osservatorio «contro la guerra agli ultimi» nato alcuni mesi fa, grazie alla sinergia di alcuni militanti, provenienti da diverse realtà di attivismo a Roma. «Nel provvedimento di Minniti, la sicurezza urbana viene definita come “il bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città”, da perseguire attraverso “riqualificazione urbana”, “eliminazione di fattori di marginalità”, “prevenzione della criminalità”, e “affermazione di più elevati livelli di coesione sociale”. Ci si aspetterebbe dunque una legge piena zeppa di misure di welfare dunque, no? Invece è una legge ad personas, che criminalizza alcune categorie di persone». A raccontarlo è Federica Borlizzi, attivista del collettivo che tiene in piedi l’osservatorio.

«Per contrastare il dispositivo – spiega – abbiamo deciso di non essere ideologici e partire dai dati, mappando i vari provvedimenti, dai mini daspo che dispongono un allontanamento dal centro di quarantott’ore, ai daspo veri e propri di sei mesi e più, e poi le multe. Indicando in ogni caso chi sono i soggetti bersagliati da queste misure». Un lavoro che ha portato alla…

L’inchiesta di Leonardo Filippi prosegue su Left in edicola


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